Il paziente avrà il diritto di abbandonare le terapie. In sostanza, c’è il divieto di accanimento terapeutico. Il voto parlamentare alla Camera sancisce così un principio cardine che fin qui, nel suo travagliato percorso in vista dell’approvazione, la legge sul testamento biologico non contemplava.
Questo grazie all’approvazione di un emendamento all’articolo 1 che sopprime il precedente comma col quale si stabiliva che "il rifiuto del trattamento sanitario indicato dal medico o la rinuncia al medesimo non possono comportare l'abbandono terapeutico. Sono quindi sempre assicurati il coinvolgimento del medico di famiglia e l'erogazione delle cure palliative".
In base al nuovo testo, invece, "il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un'appropriata terapia del dolore con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative".
Come sottolinea Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni, si recepiscono “tre richieste fondamentali:
- che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”, proprio come previsto dalla Costituzione;
- che nutrizione e idratazione artificiali sono incluse tra i trattamenti sanitari, e quindi possono essere interrotti su richiesta del paziente;
- che la sedazione continua profonda può essere praticata dal medico (anche se, su questo, meglio sarebbe prevedere un obbligo esplicito in caso di richiesta del paziente).”
Tuttavia, nella norma in questione è stata introdotta surrettiziamente, con un altro emendamento, l’obiezione di coscienza. Il medico potrà quindi, a fronte del rifiuto di un trattamento sanitario da parte del paziente non avere “obblighi professionali". In tal caso, il paziente potrà rivolgersi ad altro medico, nella speranza che la struttura sanitaria pubblica o privata ottemperi al dettato della norma garantendo “con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge”.
Non poche perplessità – rivela sempre Filomena Gallo – suscita anche il riferimento alla “deontologia professionale” del medico (che non dovrebbe in alcun modo intaccare il diritto all’autodeterminazione del paziente) e alla assistenza psicologica per chi chiede l’interruzione delle terapie (con il rischio di ritardi ingiustificati nel rispetto delle volontà del paziente)”.
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