L’incontro sulla giustizia fra il vice-segretario del PD e il ministro Bonafede, al quale erano presenti anche il premier Giuseppe Conte e il vice-ministro Giorgis, è stato presentato dall’informazione come un passaggio politico rilevante, tanto da parlare di “rivoluzione”.
A parte che nessuno dei convenuti aveva nemmeno lontanamente il physique du role del rivoluzionario, dal momento che provengono piuttosto da operati che testimoniano più che altro l’attitudine al rinvio e all’attendismo (basti ricordare come, da ministro, proprio Orlando affrontò la questione delle carceri), il dato evidente è che l’incontro ha certificato – se ce ne fosse bisogno – come le due forze in maggioranza siano accomunate dalla volontà di scongiurare riforme che incidano in profondità.
Eppure non vi è problema dell’Italia che non richieda un radicale intervento come la giustizia, visto che il suo dissesto mette a rischio quanto più preme ai cittadini: la certezza di disporre di un organismo – la magistratura – in grado di tutelare la parte più debole della società dai soprusi e dalle violenze. Tale certezza è stata messa in discussione, sia dalla contro produttività del “servizio” giustizia e sia dalla grave situazione, in alcuni casi, di irresponsabilità determinatasi con la deriva a-costituzionale dell’ordine giudiziario.
L’incapacità ad affrontare questo nodo decisivo ha riguardato l’insieme delle forze politiche, ma è soprattutto il PD a permanere in una condizione di grave ambiguità. Pur consapevole che quello snodo è determinante per avviare un processo di rinnovamento complessivo del Paese, non osa affrontarlo in quanto, per la natura che lo contraddistingue, questo partito vive in un perenne stato di subalternità che ne impedisce la capacità di iniziativa.
Le sue origini risalgono al tempo dell’operazione Mani pulite, quando il Pds (cardine prima dell’Ulivo e quindi del PD) si dibatté in una drammatica condizione, che è stata ben analizzata in un recente saggio di Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo (Marsilio). Nel 1992-93, nel biennio che vede realizzarsi il ruolo di supplenza della magistratura, secondo Orsina il Pds, per non restare anch’esso vittima dell’assalto in corso contro il sistema politico, sceglie di cavalcare l’offensiva giudiziaria. Per questo allora si pone alla guida del “rovesciamento” della prima Repubblica, ma al tempo stesso teme di essere colpito a sua volta dalle inchieste.
Da questa duplice condizione scaturisce la fondamentale debolezza politica attuale, che ripete l’identico schema adottato in quella occasione, tramite i propri referenti dentro la stessa magistratura: da un lato, limitare i danni scendendo a patti con i soggetti più combattivi e determinati della corporazione in toga e – dall’altro – assecondarne le richieste o, peggio, le pretese di arrogarsi il ruolo di esclusivi decisori del confronto pubblico.
In ciò si manifesta ancora una volta la subalternità del PD, quale soggetto politico, rispetto ai particolarismi corporativi: da questo punto di vista, più ancora del giustizialismo anti-politico presente nei 5Stelle o nella Lega, il comportamento del PD è davvero il principale ostacolo a ogni processo riformatore.
Con l’adesione prona alla proposta avanzata dal Guardasigilli Bonafede, guarda caso il solo ministro a rimanere al suo posto nel secondo governo Conte, compreso l’avallo della cancellazione della prescrizione, si ha la conferma che questa maggioranza è il terminale del blocco di ogni riforma della giustizia, allontanando sempre più l’Italia dall’essere uno Stato di diritto.
é uscito il N° 118 di Quaderni Radicali "EUROPA punto e a capo" Anno 47° Speciale Maggio 2024 |
è uscito il libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "Napoli dove vai" |
è uscito il nuovo libro di Giuseppe Rippa con Luigi O. Rintallo "l'altro Radicale disponibile |