Da quanto si legge negli ultimi giorni, il nuovo Governo sembra non voler rivedere l’abolizione della prescrizione.
Lo ritengo un errore. La giustizia è un servizio e come tale è di tutti. Non è dei magistrati né degli avvocati. L’abolizione della prescrizione non rappresenta un buon servizio nel rapporto tra Stato e cittadino. Ancora di più, se viene immessa all’interno di un sistema già fiaccato proprio dai tempi di definizione dei processi come il nostro. Alla prescrizione non si dovrebbe arrivare perché il processo dovrebbe definirsi in tempi ragionevoli. Eliminarla darà la stura ad un orologio senza lancette.
È appena stata proclamata una lunga astensione dalle udienze dei penalisti
È una presa di posizione molto netta che condivido. Non da oggi l’Unione delle Camere Penali ha cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla contrarietà dell’abolizione della prescrizione dei reati ai principi costituzionali, al diritto di ciascun cittadino ad essere giudicato in tempi ragionevoli. Abrogare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio consegna al cittadino un processo senza tempo.
Un processo infinito. A prescindere dalla colpevolezza o dall’innocenza (che dovrebbe presumersi fino alla sentenza definitiva) tutti i soggetti dell’accertamento, imputati e persone offese, verranno consegnati ad una percorso senza certezze. Delle riforme che avrebbero, poi, dovuto accompagnare questa “scelta epocale”, nessuna traccia. In altri termini, le annunciate riforme sulla velocizzazione dei tempi del processo non hanno visto la luce ed è rimasta solo la parte peggiorativa dell’impianto. Non credo ci sia il tempo e le condizioni per partorire riforme epocali in tre mesi.
Quindi cosa accadrà?
Che, in mancanza delle riforme per abbreviare i tempi del processo (solo annunciate), l’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio determinerà nei due gradi successivi tempi indefiniti per la trattazione. Se fino ad oggi il termine di prescrizione ha rappresentato un punto di riferimento per la caledarizzazione delle udienze, da domani, senza alcun limite di tempo, i fascicoli potranno rimanere più comodamente a prendere polvere. Prima o poi si celebreranno… Che fretta c’è… Non importa se i protagonisti di quell’accertamento resteranno appesi ad un filo. Appesi ad un verdetto in grado di cambiare le loro vite e quelle delle loro famiglie. Si vivrà nell’incertezza più assoluta.
Sembra sia una sensibilità solo dei penalisti
Assolutamente no. La quasi totalità dei giuristi si è da tempo espressa in modo adesivo rispetto a quanto denunciato dall’Unione delle Camere Penali. Centocinquanta docenti universitari sottoscrissero un appello dei penalisti al Presidente della Repubblica mettendo in luce profili di incostituzionalità prima della promulgazione. Ma anche i Magistrati hanno espresso decise riserve anche in considerazione degli effetti che una simile riforma potrebbe produrre. Forse la classe politica ha voluto prendere sotto gamba la questione anche in considerazione della impopolarità che si è spesso cucita addosso a chi ha remato in direzione contraria. Il gioco è stato facile: la prescrizione salva il colpevole e chi la difende si schiera con i colpevoli ai quali uno Stato lassista e perdonista vuole offrire un cadau.
Questione di propaganda ?
Di cultura e propaganda. La presunzione di innocenza è un concetto abusato solo a parole. In realtà l’imputato è ritenuto colpevole in larga parte dell’immaginario collettivo. Chi ha saputo interpretare questa equiparazione ha avuto buon gioco nel proporre ai cittadini l’abolizione della prescrizione come una “riforma degli onesti” nella lotta al malaffare. Mi capita spesso di parlare con persone che hanno subito il fascino di questa suggestione… Dopo aver ragionato non solo sui principi ma anche sugli effetti, in tanti, pur non avendo alle spalle studi di diritto, vedono l’altra metà del cielo. Quello buio in cui un cittadino può essere trascinato come il Josef kafkiano in un processo senza tempo. E non mancano le analogie. Il “Processo” di Kafka venne alla luce da romanzo incompiuto… Come incompiuta è certamente questa riforma che mi auguro venga mandata in soffitta dal “nuovo governo”.
Tra le modifiche normative in materia di giustizia penale quale la più efficace e la meno opportuna?
Stento a trovare una modifica utile a migliorare il sistema processuale o a disciplinare più organicamente le norme di carattere sostanziale. Contrariamente a quanto si sarebbe dovuto fare, rilevo uno scarso potenziamento dei riti alternativi al dibattimento. Addirittura precluso l’accesso al giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo. Forse sulla spinta emotiva di qualche caso di cronaca. Con buona pace delle annunciate riforme sui tempi di definizione dei processi. In materia di contrasto ai fenomeni di corruzione rilevo una scarsa attenzione alla prevenzione ed una inammissibile risposta punitiva nei confronti di alcuni reati.
Quelli che si offrono meglio al populismo ed alla demagogia. Mi riferisco alla corruzione ed al peculato. Si è introdotta una visione della sanzione penale “carcerocentrica” per una serie di reati. Una norma varata nel gennaio scorso impedisce ai condannati di poter richiedere misure alternative al carcere. Un condannato per un peculato di poche migliaia di euro, anche se incensurato, dovrà scontare la pena necessariamente in carcere. E non basta. Non avendo previsto una norma transitoria, questa preclusione si estenderà anche a chi ebbe a commettere il fatto anteriormente all’entrata in vigore della cosiddetta “spazzacorrotti”. Quando cioè era prevista la possibilità di beneficiare di misure alternative alla detenzione. Il Tribunale di Sorveglianza è stato completamente esautorato per questi casi perché la norma anche per chi, nelle more del procedimento, ha intrapreso un percorso massimamente virtuoso, impone che la pena sia scontata in carcere.
Si tratta di una norma a mio avviso affetta da evidente incostituzionalità. Ma sono in buona compagnia perché numerose pronunce, anche del Giudice di legittimità, hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale che sarà chiamata a pronunciarsi. Si sarebbe potuto evitare tutto questo dispendio di energie prevedendo quanto meno che l’applicazione fosse irretroattiva, seguendo un principio di secolare garanzia e di certezza del diritto. Se commetto un illecito oggi devo sapere a cosa andrò incontro. Devo saperlo al momento in cui assumo quella determinata condotta. Ma anche questi elementari principi sono stati messi da parte per dare risposte di pancia ad una opinione pubblica sempre più schiacciata sul più involuto giustizialismo. Con i forum ed il web pronti a raccogliere incitamenti alle pene esemplari, come moderne folle manzoniane. D'altronde, chiamare una legge “spazzacorrotti” la dice lunga sulla incapacità di cogliere le “sfumature” dello stato di diritto.
Che cosa potrà cambiare con l’avvicendamento al Governo?
Spero molto ma da quanto si legge credo sia solo una speranza. Ci vorrebbe la forza ed il coraggio di pagare il prezzo dell’impopolarità. Se si governa con i sondaggi e la stampella del web le riforme saranno sempre più mediatiche e poco o inclini a recepire principi liberali. L’informazione gioca un ruolo decisivo e parole come corruzione e prescrizione assumono un valore simbolico. In questo senso i contributi dell’avvocatura e della stessa magistratura rischiano di essere schiacciati da una politica che avanza a ritmo di slogan.
E si continua a vivere l’emergenza carceraria
Che sta assumendo contorni sempre più drammatici. Basti pensare ai numeri del sovraffollamento negli istituti ed al numero di suicidi. Una sconfitta del sistema. Il recente rapporto dell’Associazione Antigone, dell’estate 2019, ci consegna un dato su cui riflettere: il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane è il più alto nell’area dell’unione Europea. Sul punto credo che si sia in questi ultimi anni confuso, a furia di slogan, il concetto di “certezza della pena” con quello di “funzione della pena”. Sono due concetti diversi che solo le semplificazioni demagogiche di un giustizialismo forcaiolo finiscono per sovrapporre. La certezza della pena non ha nulla a che vedere con la sua funzione in ottica di costituzionale reinserimento e risocializzazione.
Al contrario, più la sanzione non risponde a tale finalità e maggiori sono i danni sull’individuo punito (anche in ottica recidiva) e sulla collettività. Quando si sente dire che il condannato Tizio deve “marcire in galera” io vivo un profondo disagio. Anche le parole sono importanti quando si maneggiano questi concetti. Sulle condizioni carcerarie si è già espressa la Corte europea dei diritti dell’uomo invitando l’Italia a mettere in campo correttivi strutturali. Ma i correttivi si sono rivelati sempre asfittici e da clima emergenziale. Eliminare l’acqua che arriva alle ginocchia ma non porre rimedio alla fonte da cui fuoriesce. Senza puntare ad una modernizzazione del sistema penitenziario che includa realmente anche le affettività del detenuto e senza potenziare le misure alternative alla detenzione, si continuerà a navigare a vista.
Ci vuole coraggio e voglia di affrontare i problemi con uno sguardo più lontano. Abbandonare vecchie logiche di sanzione meramente retributiva rispetto alla quale non si investe sul percorso di effettivo reinserimento social. Non si tratta di perdonismo, né di superficiale buonismo. Si tratta al contrario di non considerare l’esecuzione della pena una fase sganciata dalla funzione risocializzante. Ci sarebbe molto da discutere anche con riferimento al cosiddetto ergastolo ostativo che priva il percorso del detenuto di speranza nel quotidiano vivere la pena con una positiva rielaborazione dei propri errori. Sono temi complessi che andrebbero affrontati senza far ricorso a semplificazioni demagogiche, sono questioni che sembrano interessare a pochi e finiscono per perdersi nel buio e nel silenzio di una porta che si chiude, al fragore delle chiavi.
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