Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/12/24 ore

L'Industria, lo Stato e il Sindacato


  • Roberto Granese

Sono passate poche ore dalle dichiarazioni dell'amministratore delegato di FiatSergio Marchionne a proposito dell'impossibilità di fare impresa in Italia che è arrivata la risposta del ministro del LavoroEnrico Giovannini "Ci sono molte imprese che in queste condizioni stanno continuando a investire, a crescere, a creare profitto e posti di lavoro. Questo nonostante le indubbie difficoltà".

 

Ora ad una prima analisi questa faccenda ha una logica ineccepibile per entrambi gli attori della polemica se non fosse per una lunga serie di vizi di fondo, determinati dal contesto storico-politico che cozzano con un'interpretazione semplicistica della faccenda e riportano alla luce quella lunga serie di conflitti irrisolti che ha reso l'Italia quel paese "irriformabile" descritto più volte in altre sedi.

 

L'A.D. di Fiat deve pensare ad aumentare i profitti della sua azienda; se le strutture corporative, parapolitiche e parassitarie dei sindacati all'italiana, il mostruoso sistema burocratico e la asfissiante pressione fiscale rendono inconveniente per una azienda produrre in questo paese … chi ha i mezzi e la possibilità di contrattare fa proposte e valuta anche l'opzione di una delocalizzazione come una concreta possibilità di guadagno.

 

D'altra parte non tutte le piccole e medie e grandi imprese italiane sono la Fiat, non tutte hanno beneficiato di anni di una politica assistenzialista oltre i limiti della spudoratezza che ha configurato la solita privatizzazione dei profitti e collettivizzazione delle perdite; la Fiat, diciamocelo, è assimilabile, per i benefici avuti e per i soldi spesi, dai vari incentivi alla cassa integrazione, ad una azienda parastatale non eguagliata da nessuna altra impresa italiana.

 

Il ministro, ovviamente, porta acqua al suo mulino. Il governo sta per affrontare una serie di riforme del mercato del lavoro atte a ottimizzarlo ed incentivarlo con in mano la bandiera, sventolata anche in sede europea, della lotta alla disoccupazione, specialmente giovanile. Sarà sicuramente vero questo impegno come sicuramente vero è, però, il dato di oggi che la stessa disoccupazione giovanile sfiora il 40% della forza lavoro nella fascia di età più bassa.

 

Procedere con i piedi di piombo però è d'obbligo dopo la sentenza della Corte costituzionale sul caso Fiom-Fiat ed il ministro lo sa; Marchionne, con questa dichiarazione sta ancora sottolineando le difficoltà enormi che il sistema Stato-sincacati-confindustria in Italia pone e, prescindendo da torto e ragione, le parole del ministro - "…trarre le conseguenze ed eventualmente intervenire sul piano legislativo, ma bisogna intervenire con attenzione" - sono molto indicative.

 

Questa è una ulteriore conferma del fatto che le imprese di cui parla il ministro sono in situazioni molto più gravi e le difficoltà che fanno storcere il muso a Marchionne che produce in Polonia, compra Chrysler e fa il braccio di ferro con la Fiom sono le stesse che affrontano loro con volumi d'affari più bassi e senza secoli di assistenzialismo statale; non sarà impossibile fare impresa in Italia, ma investire, crescere e creare profitto e posti di lavoro in un sistema corporativizzato e assistenziale, politicamente svuotato e con una situazione dell'economia pubblica disastrosa ai limiti del post-colonialismo è sicuramente molto, molto difficile.

 

 


Aggiungi commento