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22/11/24 ore

Partito democratico senza rotta


  • Luigi O. Rintallo

Mancato l’ancoraggio alla soluzione della “questione liberale” così da farne la sua strategia, il Partito Democratico – nella sua interezza, da Bersani a Renzi – ha finito per muoversi come una nave senza rotta. Lo si comprende guardando quel che è avvenuto negli ultimi mesi, a partire dalle primarie.

 

Queste ultime sono state vinte da Bersani su una piattaforma di apertura a “sinistra”, contestando i contenuti dell’agenda europea e le politiche di riforme che essa richiedeva in termini di flessibilità del mercato del lavoro. Salvo poi muovere verso un’alleanza con Monti, quando Berlusconi ha promosso la sua campagna volta a fare il pieno di voti possibile fra gli scontenti del governo tecnico. Una contraddizione che non è fra le ultime cause del ridursi del distacco fra centro-sinistra e centro-destra, così come era stato registrato dai primi sondaggi post-natalizi.

 

Ora, dopo aver condotto una campagna elettorale all’insegna della contestazione delle istanze demagogiche, il PD gira il timone verso Grillo – il vincitore delle elezioni – e lancia come prima proposta la riduzione del numero dei parlamentari. Una concessione alla più demagogica delle concezioni, che vede il parlamentare solo come un “costo” e che nasconde un’assoluta inconsistenza logica, visto che il taglio eventuale di 200 parlamentari comporterebbe lo 0,06 % di risparmio sulla spesa totale delle amministrazioni centrali. Senza contare che il calo di spesa potrebbe ottenersi tranquillamente con una semplice riduzione dei compensi a onorevoli e senatori.

 

Questo è lo stato dell’arte del partito che vorrebbe candidarsi alla guida del governo del Paese: rincorrere un malcontento confuso, a scapito della logica e dell’interesse generale. In questi tempi, che tanto valore attribuiscono all’importanza della democrazia diretta, si preferisce vellicare le piazze urlanti che non rispettare le volontà liberamente espresse dai cittadini con il voto referendario.

 

Invece della riduzione dei parlamentari – fra l’altro esplicitamente respinta dal popolo italiano nel referendum costituzionale del 2006 – perché non costruire una piattaforma sui referendum abrogativi vinti dai promotori e caparbiamente traditi dai legislatori, in questi anni?

 

Ne indichiamo qui almeno tre, che a nostro avviso sono davvero significativi e utili anche in questa difficile congiuntura politica. Il primo è quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, premessa indispensabile per la costruzione di un nuovo modo di fare politica. Il secondo riguarda la responsabilità civile dei magistrati, in primo luogo quelli della pubblica accusa, così da ridurre i rischi da emergenza democratica insiti in un uso discriminatorio e fazioso della giustizia in Italia.

 

Infine, il referendum elettorale che indicò una chiara opzione in favore dei collegi uninominali – da declinare con un’apposita legge nel senso del doppio turno francese o del maggioritario inglese – con i quali non sarebbe più possibile che i candidati salgano alle Camere senza nemmeno essere visti in faccia dagli elettori. In ogni collegio, a ciascuno di loro toccherebbe almeno la fatica di farsi conoscere e non vivrebbero la comoda condizione di essere selezionati a priori dai leader o dagli apparati di partito.

 

Il popolo italiano nelle tornate referendarie del 1987 e del 1993 ha votato a favore di queste proposte, apponendo milioni di croci sul SI delle schede referendarie: qualcosa di decisamente più democratico che non gli anonimi e astiosi messaggi internet, digitati, ad ora, sulle tastiere dei computer presenti (e usati) in poco più del 35% delle famiglie italiane.

 

 


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