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22/11/24 ore

Un nuovo modo di governare e pensare lo Stato


  • Silvio Pergameno

Il nuovo governo? Ma il nostro paese, in questo momento, assai più che di qualsiasi nuovo governo, raffazzonato alla meglio, ha bisogno di una riflessione su un modo nuovo di governare, che poi è un nuovo modo di pensare lo Stato: il problema lo pose Craxi, trent’anni fa. E di ripensare i partiti: snodo che come radicali affrontammo ancora nel lontano 1965.

 

Si dirà che se ci si mette su questa strada si chiede troppo, si avvia un percorso lungo e accidentato, in tempi di urgenze pressanti: tutto vero; ma è altrettanto vero che, senza negare la necessità di affrontare l’immediato, non possiamo perdere ancora una volta l’autobus, perché l’emergenzialità (si scusi il neologismo) serva per superare alla meglio un momento critico e salvare il salvabile.

 

La sensazione è proprio che sul punto la consapevolezza sia assente. Quando Bersani, lo prendiamo come capro espiatorio, insiste per esempio sul fatto che spetta a lui formare il nuovo governo con i suoi 340 eletti, altrimenti si torna a votare, il segretario del PD trascura il fatto che i suoi eletti sono stati circa 120 e gli altri 220 sono il frutto di un porcellum, che doveva assicurare la governabilità, ma che ha avuto il solo esito di ridicolizzare il sistema rappresentativo. Ancora non basta? Anche Bersani, l’uomo del giorno, sembra cercare un salvagente!

 

Oggi l’Italia presenta un quadro desolante di degrado istituzionale, del quale certamente si parla, ma con molta superficialità e senza che la classe politica ne tragga le dovute conseguenze. È il quadro che costituisce il terreno ideale per il prosperare del malgoverno e della corruzione: se ne parla e straparla, ma in una prospettiva qualunquistica.

 

Il dissenso viene così dirottato verso la protesta fine a se stessa, diventa una comica, oltre tutto aperta al rischio di ogni possibile avventurismo. Grande tema di dibattito: la corruzione, confinata però in un fenomeno di “mele marce”, di ladruncoli che è abbastanza facile mettere in prigione e che in prigione già ora ci finiscono, ma senza che nulla cambi.

 

La magagna più profonda è invece costituita dall’uso distorto che le forze politiche, per conquistare e conservare potere, hanno fatto del potere legislativo, del potere governativo, della pubblica amministrazione e facendo strage di diritti civili e principi costituzionali. Ne è venuto in essere un fenomeno paradossale: la così detta supplenza giudiziaria, della quale proprio il terzo potere sta rischiando di diventare la vittima più illustre, nel formarsi della convinzione diffusa che spetti ai giudici sanare la politica.

 

Una via giudiziaria alla democrazia? O non piuttosto l’ennesimo dirottamento gattopardesco, affinché tutto resti come prima? Le tante proposte di ridurre il finanziamento pubblico dei partiti e il numero degli eletti non rappresentano altro che modesti palliativi, perché non affrontano le distorsioni di fondo: si risparmierebbe qualche soldo, si darebbe qualche soddisfazione alla protesta più rumorosa (e superficiale), ma nulla assicura che l’andazzo attuale possa essere bloccato.

 

Il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Campania ha messo con forza il dito su una delle piaghe più vistose, e dannose: “Le participate sono il vero cancro degli enti locali, un passato di cui non ci si riesce a liberare, con incarichi e consulenze dai compensi fuori mercato, che non hanno prodotto niente ( ma ben 34 miliardi di euro di debiti)… assunzioni di massa illegittime e clientelari, consulenze inutili, sprechi per acquisti di forniture inutili e a prezzi fuori mercato….” Enorme spreco di risorse, a cominciare da 12 miliardi e mezzo di Fondi Europei….

 

La Corte dei conti – che certo non sarà il luogo di riforma dello stato - fu comunque voluta proprio dal liberale Cavour, come longa manus del Parlamento, nella sua funzione di controllo dell’esecutivo; ma nella nuova Costituzione essa è stata inserita tra gli organi… ausiliari del Governo, con le migliori intenzioni, senza dubbio: aiutare il governo a comportarsi bene nel rispetto della legalità, ma senza bilanciamento di poteri. Non fu certo una svista; le forze politiche che vedevano nel liberalismo l’avversario da battere, non potevano accettare un organo di garanzia che mettesse il naso proprio nei rapporti tra parlamento e governo…e configurato in un quadro di separazione dei poteri; altro principio poco consono con le dottrine dei blocchi storici e della dottrina sociale della Chiesa.

 

Lo stato impiantato dalla Costituzione, fondato sui principi del corporativismo cattolico, conteneva già in sé i germi della futura evoluzione perversa, anche perché ci tiravamo dietro le realtà legate al corporativismo fascista; è c‘è stato poi da far fronte all’insinuante pressione del più forte partito comunista dell’Occidente: e la DC è stato il partito che non diceva mai di no a nessuno, un pis aller, che ha una sua storia di polverizzazione corporativa, dai rapporti con l’elettorato alla frammentazione dei partiti in correnti e sottocorrenti, al pulviscolo dell’associazionismo inutile e ingordo, al degrado del dibattito politico nelle risse di gruppi e gruppetti affamati.

 

Abbiamo, comunque, davanti ai nostri occhi il precedente della Francia, nazione sconvolta negli anni cinquanta dalla profonda crisi dell’impero coloniale, con la tragedia indocinese seguita da quella algerina. Fu in tale contesto che maturò il superamento di un regime parlamentare paralizzato nella salvaguardia dell’equilibrio tra i partiti e l’avvio, con la nuova costituzione della c.d. Quinta Repubblica, di un regime semipresidenziale, che ha assicurato quanto meno una gestione possibile dell’esistente.

 

Questa sembra la strada che dovrebbe essere seguita e che, in effetti, ebbe qualche sostenitore anche nell’ Assemblea costituente, sulla base di un’analisi delle cause che nel 1922 avevano portato alla progressiva instaurazione della dittatura fascista. In ogni caso, questo è l’ordine di considerazioni che dovrebbe nutrire il dibattito politico. Ma in assenza di una sensibilità di stampo liberale sembra difficile che se ne venga in capo.

 

Le forze politiche hanno creato tutti gli strumenti istituzionali per l’autoconservazione: il finanziamento pubblico rende autonomi i partiti dai cittadini; poi i tanti privilegi trasformano gli eletti (magari a rotazione) in burocrati carrieristi; poi, quando arrivano le elezioni le leggi elettorali e di propaganda elettorale garantiscono chi è già dentro, favorendo i più grossi; poi con il voto di fiducia si ricattano deputati e senatori, proprio nel momento cruciale della formazione del governo; poi nel corso della legislatura i gruppi parlamentari, “delegazioni” dei partiti, assicurano la disciplina; poi…diventa facile capire mezzo secolo di letargo nell’immobilismo!

 

Allora affrontiamo le urgenze; sì, ovviamente, ma trovando nelle contraddizioni, che per lo meno non mancano all’interno degli stessi partiti, il grimaldello per uscire da una condizione intollerabile.


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