Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

22/11/24 ore

Boldrini e il caso Preiti


  • Luigi O. Rintallo

All’indomani del ferimento dei due carabinieri in Piazza Montecitorio, ai quali ha sparato il “disoccupato” calabrese Luigi Preiti, la presidente della Camera se n’è uscita con la frase: “la crisi economica trasforma le vittime (il disoccupato) in carnefici”. Cosa c’è dietro l’interpretazione della Boldrini?

 

C’è l’errata convinzione che la violenza e, comunque, il degrado siano il risultato del disagio sociale. Un modo come un altro per, involontariamente, denigrare e offendere i milioni di persone in difficoltà, automaticamente equiparati a potenziali criminali. Un’interpretazione che ritroviamo quando, ad esempio, si giustificano gli attentati suicidi dei palestinesi con le condizioni di vita nei campi profughi in Medioriente, trascurando che ben di rado fra gli attentatori si sono trovati i lavoratori costretti alle drammatiche odissee per superare i posti di blocco. Di solito i kamikaze appartengono piuttosto alla borghesia, cresciuta nel vivaio delle scuole e dei media occidentali.

 

Vi è un altro aspetto che va respinto in radice in questo pensiero, così ricorrente in una certa sinistra italiana. È l’incapacità di comprendere che i “poveri”, chi vive ogni giorno nelle difficoltà della sopravvivenza quotidiana, non necessariamente incolpa gli altri della sua condizione né tanto meno è infelice per questo. L’Africa non è soltanto la foto del bambino inerte con le mosche sul viso, ma anche la foto dei ragazzi in miseria che sorridono e scherzano allegri. È davvero limitante associare la felicità al benessere.

 

Il caso Preiti, tutto da chiarire, è stato inoltre subito “usato” dal leader di Sinistra ecologia e libertà, Vendola, per denunciare “puzza di regime”. Un attentato caduto a puntino, secondo Vendola, per sostenere la politica delle larghe intese. Anche qui si ricicla un criterio interpretativo degli anni ’70: la famigerata “strategia della tensione”.

 

Il cui prodest è domanda che però si presta a essere facilmente ribaltata. Già, perché nei tempi odierni siamo ben lontani dalle situazioni vissute agli esordi del terrorismo, quando settori presenti nelle istituzioni potevano in effetti strumentalizzare gli atti violenti. Oggi, può verificarsi un fenomeno persino opposto, data la velocità della diffusione delle informazioni e la loro preconcetta anti-politica. Perché non pensare a una strumentalizzazione che sfrutta il gesto assassino per lanciare l’accusa di voler tacitare le opposizioni? Un modo come un altro per sfruttare un vantaggio artificioso.

 

Resta il dato di fatto che, una parte della sinistra, non si sradica da modelli, clichè e interpretazioni prodotto di una visione del mondo che risale a oltre quarant’anni addietro. Sarebbe opportuno che il rinnovamento passasse oltre che per le “rottamazioni”, anche nei giudizi e nelle idee sull’esistenza.

 


Aggiungi commento