Nella nota diramata il 13 agosto dal Quirinale vi è un passo, poco evidenziato perché collocato in un inciso, che meriterebbe di essere sottoposto a una più attenta interpretazione. Affrontando il “turbamento e la preoccupazione” del Pdl dopo la sentenza di Cassazione riguardante il suo leader, Napolitano ricorda, in una parentesi, che la condanna alla pena detentiva di un ex presidente del Consiglio è un “fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato”.
Il riferimento, chiaramente, è alle vicende di Craxi e Andreotti. Il primo vide passare in giudicato la condanna per finanziamento illecito, in nome della formula “non poteva non sapere”, mentre il secondo fu sì assolto dal concorso esterno in associazione mafiosa, ma con una motivazione che limitava l’assoluzione al periodo successivo a una certa data. Entrambi quelle sentenze furono oggetto di critiche e osservazioni, sia di natura politica che giuridica. I legali di Craxi presentarono un ricorso alla Corte di Strasburgo, che l’accolse sancendo così l’irregolarità di alcune fasi della sua vicenda processuale; altrettanto accadde per Andreotti, dove non mancarono i giuristi che evidenziarono la “stravaganza” dell’assoluzione a metà pronunciata dalla Cassazione.
Da un lato la constatazione del Capo dello Stato può essere interpretata come l’invito al centrodestra a limitare gli eccessi, evitando di usare termini evocativi di golpe giudiziari visto che la situazione si è già verificata altre volte. Ma, dall’altro, dà a intendere – visti i precedenti – che le sentenze di Cassazione non vanno considerate come giudizi infallibili. E tanto meno insindacabili.
Con la sua nota, il Presidente della Repubblica ha – nei modi consueti del protocollo – evidenziato l’anomalia che viviamo da vent’anni a questa parte, con lo squilibrio determinatosi nei rapporti tra il sistema politico e la corporazione giudiziaria. Tre capi di governo condannati in via definitiva, con formulazioni dai contorni giuridici opachi, destano più di una perplessità sui modi di funzionamento di un sistema che risulta sottoposto a pressioni destabilizzanti. Se a questo si aggiungono i cosiddetti “fattori umani”, con il loro retaggio di debolezze personali e superficialità inammissibili in chi svolge delicate funzioni, non si fa che precipitare per la china pericolosa del discredito.
Pensare di continuare come se nulla fosse accaduto o come se tutto ciò rientrasse nella normalità, significherebbe spingersi ulteriormente verso il precipizio. Qualcuno potrebbe essere tentato di assecondare questa spinta, contando su una fase successiva di obbligata rinascita. Da Napolitano viene invece l’esortazione a impegnarsi da subito per un profondo rinnovamento del nostro assetto istituzionale, l’ultima chance per evitare la deriva caotica determinata dalle spinte di lobbies e corporazioni irresponsabili.
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