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02/05/24 ore

Giovani e lavoro, le radici dell'incompetenza


  • Ermes Antonucci

“Il 47% degli imprenditori italiani fatica a reperire sul mercato del lavoro candidati con le giuste competenze, e questa è la percentuale più alta fra tutti i paesi esaminati”. Questo è il quadro tracciato dal rapporto McKinsey, condotto su otto paesi Ue e presentato ieri a Bruxelles presso il centro di ricerca Bruegel, come riportato dal 'Corriere della Sera'.

 

L’altissimo tasso di disoccupazione giovanile in Italia (attestatosi, secondo gli ultimi dati Istat, al 41,6%) non sarebbe determinato totalmente dal perpetuarsi dalla crisi economica, ma in larga parte dalla mancanza di comunicazione tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro: “Solo il 41% dei datori di lavoro dice di comunicare regolarmente con i dirigenti delle scuole, e solo il 21% considera questa comunicazione effettiva”.

 

Il risultato di questa distanza è che migliaia di studenti starebbero “scommettendo il loro futuro su industrie in decadenza”, cioè su settori dell’economia che negli ultimi anni hanno conosciuto una forte riduzione della domanda, e che dunque non saranno in grado di assorbire interamente le nuove leve.

 

L’emergenza giovanile, tuttavia, non sembra ridursi ad una mera questione di comunicazione. I datori di lavoro e gli insegnati, spiega il rapporto, mostrano di avere percezioni molto diverse su ciò che richiede il mercato del lavoro. Vi è, infatti, una spaccatura tra le richieste di competenze e capacità professionali da parte degli imprenditori e le reali skills mostrate dai giovani italiani: la richiesta, per esempio, di una buona conoscenza dell’inglese fra i propri dipendenti “è soddisfatta solo dal 23% degli aspiranti”, e quella di una competenza informatica appena dal 18%.

 

L’articolo del Corriere, limitandosi a riportare in modo analitico le evidenze statistiche rilevate dal rapporto McKinsey, può però fuorviare, contribuendo a far passare il messaggio, chiaro e semplice, che la radice del problema della disoccupazione giovanile nel nostro Paese vada rintracciata soprattutto nel rapporto difettoso tra educatori ed imprenditori, e nelle carenze espresse dal settore dell’istruzione.

 

Concentrarsi solo su questi aspetti però, per quanto costituiscano segnali reali dell’effettiva assenza di una relazione dinamica e dialogica tra mondo del lavoro e dell’istruzione, sembra essere un tentativo di guardare in maniera semplicistica ai malanni dell’economia italiana, soffermandosi solo sulla pagliuzza e tralasciando invece la trave ben più preoccupante.

 

Quella rappresentata dalle enormi resistenze di carattere corporativo e clientelare fatte proprie da tutti i soggetti che agiscono all’interno del mercato del lavoro, dalle associazioni imprenditoriali ai sindacati, e che rendono sempre impossibile qualsiasi ipotesi di intervento di natura vagamente strutturale in campo economico.

 

I giovani italiani, insomma, saranno pure impreparati, ma ciò non fa altro che rispecchiare l’immobilismo di fondo dell’intero sistema produttivo, ancorato gelosamente ai propri privilegi e ai propri istinti di autoconservazione.

 

 


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