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23/11/24 ore

Galan, quando l'arresto è preventivo


  • Luigi O. Rintallo

Il ricorso al latinorum è sempre servito per intorbidare le acque e mistificare: ne sapeva qualcosa il povero Renzo alle prese con la viltà di Don Abbondio. A Montecitorio si nascondono dietro l’espressione fumus persecutionis, quando tocca votare sui procedimenti giudiziari che riguardano i deputati. Così se una procura avanza la richiesta di arresto preventivo, non si valuta la sostanza della sua necessità o meno, ma appunto se vi è o no fumus persecutionis: che è una condizione alquanto improbabile, perché vorrebbe dire che i magistrati si sarebbero mossi per ripicca personale o chissà quale altro motivo inconfessabile.

 

A loro giustificazione, i deputati che hanno votato a favore dell’arresto di Giancarlo Galan – un fronte quanto mai variegato, che va dal PD al M5S, passando per la Lega – affermano di non essersi espressi sull’arresto, ma appunto sul fumus persecutionis.

 

Un espediente ipocrita per mascherare lo spirito di fazione e la volontà di assecondare il più bieco qualunquismo, che si pasce soltanto della legge di Lynch ed è completamente digiuno dei principi di civiltà liberale e democratica. Da perfetti Don Abbondio, timorosi di fare i conti coi signorotti del momento – opinione pubblica aizzata dai columnist col cappio sempre pronto – i deputati si prestano ad assecondarli, rinunciando a esercitare il libero giudizio o ad ascoltare davvero la propria coscienza.

 

Per capire i termini del problema occorre chiedersi: perché si arresta prima del processo? Di norma lo si fa per tre soli motivi: reiterazione del reato, possibilità di fuga e inquinamento delle prove. Per fatti che risalgono ad anni prima e nel caso in ispecie i tre motivi non ci sono.

 

L’unica vera ragione sta nel porre l’imputato in una condizione di disagio tale, da indurlo a collaborare con i suoi accusatori. Qualunque sia il trattamento riservato, la finalità dell’arresto è profondamente ingiusta. Lo si costringa in isolamento o lo si collochi in una cella, in convivenza con altri, lo si obblighi a condividere un cesso alla turca o a essere assistito dall’infermeria del carcere, a venir meno sono comunque i principi basilari del diritto.

 

La logica che presiede la carcerazione preventiva è quella di una tortura moderna, dove per di più se l’accusato non ha nulla da confessare si ritrova nella stessa condizione dei presunti monatti della Colonna infame manzoniana, che pur di uscire finirono per farsi accusatori di innocenti.

 

Quando il Parlamento vota per l’arresto di uno dei suoi componenti non è una bella giornata per la Repubblica. In merito poi alla necessità di far sì che gli eletti abbiano lo stesso trattamento degli altri, è evidente che rientra nella retorica più scontata e più falsa. Se guardiamo nel merito, si scopre che a subire un trattamento penalizzante sono proprio i politici, dal momento che –  a fronte delle documentazioni presentate e in assenza di prove consistenti – difficilmente si ricorrerebbe all’arresto preventivo con personaggi non pubblici, come dimostrano gli infiniti casi di imputati a piede libero pur se accusati di reati gravi contro le persone.

 

Le modalità dell’arresto preventivo è un tema che dovrebbe essere oggetto centrale di una riforma della giustizia. Nel nostro paese, con e forse prima ancora che di separazione delle carriere o di responsabilità civile, purtroppo deve entrare a far parte della cultura giuridica il principio dell’habeas corpus. Un altro termine latino, di certo assai poco frequentato dai nostri tribunali.

 

 


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