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18/11/24 ore

Hollande e Renzi: mal comune, mezzo gaudio


  • Silvio Pergameno

Il nuovo governo francese marca una svolta "liberista", come si dice oggi, attraverso l’adesione ai famosi parametri dell’austerità di Bruxelles, di Francoforte e in definitiva di Berlino e la connessa sostituzione di quattro ministri troppo di sinistra, quello dell’economia Montebourg (il più noto anche al livello internazionale, sostituito da un altro, giovanissimo,  socialista, sì, ma formatosi nella banca di affari dei Rotschild…). quello dell’istruzione Hamon , quella della cultura Filippetti e quella dei diritti civili Taubira.

 

I commenti dei media si sono soffermati soprattutto sul significato della svolta nel campo economico-finanziario e pur tenendo conto del fatto che i tre ministri rimossi oltre a Montebourg debbono la disavventura alla loro appartenenza alla corrente di sinistra socialista avanzata più che alle incisive riforme che avevano posto in cantiere, non si può trascurare il fatto che un tale corso di eventi finisce con il dare l’avvio a una svolta assai più profonda per il socialismo francese, di quella determinata da innovazioni nel solo campo dell’economia, sempre giustificabili con esigenze (secondo i gusti) vuoi obbiettivamente da soddisfare in ragione delle necessità di bilancio, di debito pubblico e di pesante disoccupazione che affliggono il paese, vuoi legate alla perfidia dei tiranni germanici dell’austerity (tra l’altro oggi sotto tiro a causa di un’incombente recessione, che sembra possa cominciare a minacciare la stessa prosperità tedesca).  

 

Il travaglio interno del Parti Socialiste, reso ostensivo dalle incertezze del Presidente Hollande e dalla perdita di consenso popolare che ha visto scendere al 17% il voto alle recenti europee, appare comunque profondo in quanto il nuovo ministro dell’Economia, il trentaseienne Emmanuel Macron, non è stato individuato in fretta e furia in occasione della presente svolta, ma già faceva parte dello staff del Presidente : dal tempo delle passate presidenziali del 2012 come segretario generale aggiunto all’Eliseo e consigliere economico del vertice. Del resto il Capo del governo Manuel Valls è egli pure un "liberista" e lo svolgimento dei recenti fatti di Parigi è stato determinato proprio dalla sua intransigenza.

 

Le difficoltà politiche di un percorso di riforme secondo il modello tedesco, del resto sono state presenti in Grecia come in Spagna, paesi dove riforme marcate da questa matrice sono state effettuate, e sono ben presenti oggi anche in Italia nel Partito Democratico, nonostante che un giuslavorista di chiara fama come Pietro Ichino ritenga che la revisione dei contratti di lavoro e un po’ di tutte le relazioni industriali non sia affatto così difficile come si pensa.

 

Il fatto è, comunque, che esistono altri aspetti, molto profondi, sui quali è indispensabile soffermarsi, aspetti strettamente politici, che condizionano il corso degli eventi. E al riguardo la prima osservazione da fare sta non solo e non tanto nel fatto che in Germania riforme del tenore di quelle che essa oggi chiede agli altri paesi europei sono già state portate a termine da più di dieci anni, ma soprattutto nel tenere ben presente che tali riforme non sono state varate o pressate dall’Associazione degli imprenditori meccanici (Gesamtmetall) ma dal cancelliere Gerhard Schröder con la collaborazione dei sindacati, sulla base di un  orientamento fondato sulla salvezza dell’occupazione finanziata mantenendo a bassi livelli stipendi e salari  nelle imprese interessate, tanto è vero che oggi questi trattamenti economici sono largamente sotto accusa in quanto riducono fortemente la domanda interna e fanno gravare troppo la tenuta finanziaria del paese sulle esportazioni (sempre largamente incontrollabili dai governi).

 

Sono gli esiti di una storia lunga, la storia della socialdemocrazia tedesca fin dalle sue origini, che, nel tempo di svolte cruciali come nel 1919, ha visto i capi dell’SPD (Ebert, Scheidemann e soprattutto Noske) affrontare con estrema decisione i, peraltro inconsistenti, tentativi insurrezionali che percorrevano il paese, fino al punto di lasciar fare alle milizie dei Freicorps (ufficiali e sottufficiali che si erano rifiutati di tornare a casa per l’imposizione dei vincitori nella Prima guerra mondiale e si affiancavano alle forze di polizia per il mantenimento di "law and order", quando non lo facevano da soli), mentre in Itala a in Francia nel 1921 i socialisti massimalisti nei congressi di Livorno e Tours si scindevano dando origine al PCI e al PCF, i due più grandi partiti comunisti dell’Occidente, la parte più attiva nella Resistenza alla fine del secondo conflitto mondiale e con una presenza politica. sociale e culturale di primissimo piano fino ai nostri giorni, quando i sopravvissuti combattono battaglie di ultima istanza alle quali è ogni giorno di più legata la sopravvivenza.

 

Il travaglio all’interno del Parti Socialiste e del Partito democratico non deve perciò essere sottovalutato, senza dimenticare che proprio i risultati elettorali testimoniano che lo sfaldamento del socialismo francese alimenta la crescita dell’estrema destra lepenista, che se oggi con Marine Le Pen cerca di mettere in soffitta le nostalgie per Vichy e il collaborazionismo con la Germania di Hitler nell’ultimo conflitto, la formula politica rimane la stessa: quella di una destra politica interclassista, molto attenta agli umori e alle istanze sindacali e ben presente con altisonanti prese di posizione antiborghesi e antifilistee, dichiaratamente nemiche delle democrazie liberali.

 

 


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