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18/11/24 ore

L'Economist, Renzi e il gelato artigianale


  • Roberto Granese

Non giudicare un libro dalla copertina. Era una vecchia raccomandazione che sarà stata anch’essa rottamata sotto l’irresistibile pressione del "nuovo che avanza" ma che, alla fine, non sembrava poi così sbagliata. Vero è anche che un’immagine di copertina accattivante, oltre ad essere uno dei pochi mezzi a disposizione per captare la scarsa e fugace attenzione del fruitore medio del mercato dell’informazione, è spesso tutto ciò che rimane nella testa della gente di un lavoro giornalistico più o meno approfondito, in modo particolare se la testata è straniera e il fruitore, giornalista, politico o semplice cittadino è italiano.

 

La nostra arrogante, ottusa, indiscutibilmente ignorante ed autoreferenziale attitudine a rimaneggiare un po’ tutto ciò che viene da oltre confine, mantenendo un bizzarro equilibrio fra il provincialismo campanilista, l’esterofilia acritica e il feroce settarismo insieme al sottile quanto insinuante umorismo inglese, ha messo su un ennesimo teatrino che negli ultimi giorni si è concluso con lo "spettacolo finale" dell’allegro consumo di mantecati nel cortile di Palazzo Chigi.

 

Questa uscita comica e forse un po’ di cattivo gusto, ha subito polarizzato la stampa e l’opinione pubblica, liquidando al "gelatino" l’essenza dell’articolo dell’Economist sulla crisi dell’Eurozona.

 

Forse, a onor del vero, il problema non è il gelatino in mano a Renzi o la rappresentazione umoristica in copertina del magazine inglese (la "famiglia europea" dove "mamma Germania-Merkel", un passo avanti a tutti si occupa dell’economia domestica, gestendo comodamente un "papà Francia-Hollande" cauto e sull’attenti e un giovane "figlio Renzi-Italia", anche lui rigido e educatamente in coda con il suo gelatino, mentre un depresso e affaticato Draghi cerca di "salvare" una "barca-Euro" che fa acqua da tutte le parti): in realtà,  come al solito la levata di scudi alla critica è assolutamente fuori luogo rispetto alla critica stessa che, se pur parziale, ha un solido fondamento ed è rivolta solo marginalmente all’Italia come non rilevato dalla stampa nostrana.

 

L’articolo si apre facendo un quadro della rinnovata crisi europea e chiarendo che con queste premesse, se non si attuano soluzioni differenti, il progetto Euro è destinato a fallire. La questione è che, nonostante l’impegno di Mario Draghi per fare il possibile tagliando il costo del denaro e stimolare le banche ad investire, l’effetto positivo si è esaurito in breve tempo ed i paesi europei si sono riscoperti ad affondare lentamente nella crisi.

 

Il Pil non cresce e la disoccupazione aumenta vertiginosamente. L’Italia è in recessione, la Francia stagna e anche le previsioni per le esportazioni tedesche non sono favorevolissime. I calcoli sull’inflazione allo 0.4% sono lontani dalle previsioni della BCE del 2% e i titoli tedeschi (quelli dello spread per capirci) rendono solo l’1%; la deflazione diventa sempre più uno spettro che si diffonde pericolosamente sull’Europa (in Italia, come sappiamo, è già così, ma i dati non erano ancora pubblicati quando l’articolo è uscito), mentre l’economia inglese ed americana mantengono una crescita sostenuta.

 

 

I tre paesi citati contribuiscono ai due terzi del PIL dell’eurozona quindi, anche se in altri paesi come Olanda e Spagna l’economia cresce, questo non riesce ad invertire la tendenza. 

 

Le cause di questa "malattia europea" vengono rintracciate nell’articolo da tre cause diversamente presenti ed interrelate nei paesi citati: la mancanza di una classe politica capace di affrontare riforme strutturali, la mancanza di percezione nell’opinione pubblica della gravità del problema e del bisogno di affrontarlo,  la rigidità del sistema monetario e fiscale europeo che, per come è stato costruito, blocca esso stesso la crescita.

 

Il paese che viene preso come esempio più drammatico di queste concause è la Francia di Hollande, dove l’ultimo rimpasto di governo è il frutto della necessaria espulsione di quella parte troppo contraria all’attuale allineamento del governo francese alla "politica dell’austerità" tedesca che passa da tagli alla spesa pubblica, abbassamento delle tasse e riforme strutturali che non trovano molto seguito nell’opinione pubblica francese che non stima affatto il presidente Hollande.

Qui la citazione-confronto con l’Italia, dove il popolarissimo Matteo Renzi ha coraggiosamente intrapreso la via delle riforme nonostante ancora non si vede nulla di concreto ("...Italy’s Matteo Renzi, who has bravely made the case for (as yet undelivered) tough reforms").

 

L’ultima solida stoccata è per la Germania di Angela Merkel, alla quale, dopo averla individuata come più grosso nemico di una politica espansiva di quantitative easing, l’articolo dice: "Angie, we can say you never tried " (Angela, possiamo dire che non ci hai mai provato).

 

L’articolo disegna poi un onirico e felice quadro possibile in cui Italia e Francia fanno effettivamente le riforme, la Germania allenta leggermente i cordoni della borsa, mentre viene raggiunto un accordo per la creazione di un vero unico mercato europeo con stretti e solidi rapporti con quello americano.

 

A questo quadro onirico si contrappone poi quello reale in cui un po’ si giustifica la signora Merkel per la sua sfiducia nelle intenzioni riformatrici di Francia e Italia - che più volte hanno fatto marcia indietro sulle riforme per via delle più varie pressioni interne – che ha spinto a collocare a presiedere la Commissione Europea un uomo dell’immobilismo rigoroso come Juncker.

 

La conclusione, amara come realistica, indica il rischio insito in queste premesse, dato che l’Europa non è una vera unione non potrà affrontare la mancanza di crescita come il Giappone negli anni novanta e quindi, davanti a deflazione e disoccupazione record, la tentazione più forte sarà quella di abbandonare il progetto Euro notando costi molto maggiori dei benefici.

 

L’analisi nelle premesse e nelle conseguenze è piuttosto lucida e preoccupante, ma la cosa non è necessariamente considerabile in quanto tale dai media, dalla politica, e dall’opinione pubblica, perché ciò sarebbe un chiaro venir meno di quelle concause che l’articolo individua alla base della irrisolvibilità della stessa crisi, direi sociopolitica più che economica, dell’area Euro.

 

La reazione di Renzi e i commenti alla stessa sono forse una sintesi ancora migliore dello stato del Paese di qualsiasi articolo economico puntualmente ignorato nelle premesse e nelle conclusioni; una sintesi di quella irrisolvibilità insita di chi i problemi li affronta al vecchio modo, ignorandoli, nascondendoli sotto il tappeto e mangiando il gelatino.

 

Che dire, buona digestione...

 


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