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18/04/24 ore

Stato-Mafia, la Trattativa farsa


  • Ermes Antonucci

"Trattativa, Napolitano: 'Mai saputo'. Ma su D'Ambrosio non ha risposto". E' nel prevedibile titolo tendenzioso a caratteri cubitali del Fatto Quotidiano che si palesa l'ultima assurdità di una vicenda, quella del processo sulla trattativa Stato-mafia, che manipolata dal solito circo politico-mediato pare ormai aver superato ogni senso giuridico, democratico e del ridicolo.

 

A consentire l'ultima svolta grottesca è stato l'interrogatorio a domicilio, presso il Quirinale, al presidente della Repubblica da parte dei pm palermitani. Una deposizione che, in linea con le disposizioni normative e l'ordinanza della Corte d'Assise di Palermo, si è svolta a porte chiuse e senza la presenza di giornalisti. Il contesto perfetto per chi intende continuare ad ignorare la palese inconsistenza dell'intero procedimento giudiziario e proseguire la proficua opera di demolizione istituzionale.

 

E così tutti gli ideatori di questo spettacolo hanno avuto la possibilità di fare la propria parte: i giudici hanno ottenuto il loro ritorno mediatico; i giornalisti "travaglini" hanno avuto massima libertà di (cre)azione, riportando minuziosamente le parole del legale di Totò Riina, che intanto, per la gioia, imbastiva una sorta di conferenza stampa; e antichi "supereroi" hanno persino deciso di tornare alla ribalta, come Antonio Ingroia, che, tanto per ricordare la follia di cui si sta parlando, dopo essere stato uno dei "padri" del processo ha deciso di mollare tutto, fondare un partito e sbattere il muso contro la soglia di sbarramento.

 

La verità, che fatica comprensibilmente a conquistare l'interesse mainstream di un pubblico dalle frequenti tendenze manettare e anti-politiche, è che il processo sulla trattativa è − come l'ha definito in maniera franca il giurista Giovanni Fandiaca − "una boiata pazzesca": manca il reato, mancano le prove, manca il movente. Le poche evidenze, peraltro, sollevate per sorreggere questo castello di sabbia collidono con la realtà stessa degli eventi, che, dagli anni della presunta trattativa in poi, hanno visto una sostanziale sconfitta del fenomeno mafioso.

 

Il processo, insomma, è sempre stato altro. Scansando abilmente ogni principio liberal-democratico sulla divisione dei poteri e sul corretto funzionamento della magistratura, l'impianto del processo di Palermo ha assunto sin dalle sue origini le forme ora di una ricostruzione giornalistica, ora di una revisione storica, ora di una campagna moralistica, ora persino di manovra politica: tutto fuorché un normale procedimento giudiziario.

 

Di "commedia pirandelliana" ha parlato nei giorni scorsi anche Giuseppe Di Lello, ex giudice istruttore del pool di Giovanni Falcone, per il quale appare "inquietante" che il Capo dello Stato sia diventato il bersaglio di una variegata compagnia di giro "composta da professionisti dello spettacolo, del mondo editoriale e anche da magistrati che pensano di essere depositari ed eredi esclusivi di una tragica e nello stesso tempo esaltante stagione della vita della nostra Repubblica".

 

Ancor più inquietante è notare quanto fatichino ad emergere chiavi di lettura alternative a quelle tendenziose e "costruite" attorno alla farsa processuale sulla trattativa. Una farsa che poi, nella sostanza, costituisce solo uno dei tanti sintomi di una malattia per la quale gli unici anticorpi, quelli liberali, sono sempre stati distrutti sul nascere.

 

- La deposizione del Capo dello Stato

 

 

 


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