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01/05/24 ore

Le questioni aperte dall’Italicum


  • Silvio Pergameno

Pare vero. Siamo sicuri? No. Non siamo affatto sicuri. E per un motivo molto semplice: le sorti dell’Italicum sono subordinate all’esito della riforma del Senato, perché l’Italicum è una legge elettorale che regola solo l’elezione della Camera dei deputati. Se la riforma del Senato in corso di approvazione dovesse venir meno, bisognerà vedere cosa succede.

 

Se le cose dovessero restare come sono attualmente - o comunque si dovesse pervenire a un Senato eletto dai cittadini (al quale poi sarebbe anche difficile negare il potere di esprimere la fiducia al governo) - che cosa succede? Non si aprirebbe un nuovo scontro, prima di tutto interno al PD, dagli esiti incerti? E che l’esito della riforma del Senato attualmente in corso sia positivamente scontato non è affatto sicuro; perché i dubbi di merito sono tanti, proprio a partire dal difetto di fondo, che cioè il “Senato delle Regioni” dovrebbe rappresentare un meccanismo istituzionale che da un lato deve aprire la consapevolezza e la partecipazione delle Regioni alle dimensioni e alle questioni che investono la nazione, proprio al fine di commisurarvi la loro politica sul territorio, e dall’altro deve avere la forza di correggere le tare del localismo in genere e di quello all’italiana in particolare, una prospettiva che non appare alla portata di un organismo la cui formazione è per la massima parte affidata proprio ai livelli locali.

 

Ma, comunque, diamo per scontato che l’Italicum sia destinato a regolare le prossime elezioni per la Camera e che quindi si debbano valutare i pregi e le conseguenze di questa legge così come è. E qui le sorprese sono state eclatanti. La cartomante, alla quale di solito mi rivolgo in fatto di futuribili, si è messa a ridere: la sfera di cristallo ha mostrato soltanto una matassa inestricabile….

 

La sorpresa maggiore è venuta da Repubblica: dopo che Eugenio Scalfari e Piero Ignazi erano stati molto severi con l’Italicum, Claudio Tito ne ha esaltato le possibilità innovative e Roberto D’Alimonte ne ha smontato le paure di derive presidenzialistiche e i timori di illegittimità costituzionale del premio di maggioranza. Per il primo, in particolare, nonostante qualche difettuccio (si fa per dire), l’Italicum avrà effetti positivi sul sistema politico: spingerà verso un sistema bipolare se non bipartitico (ma allora non valeva tanto tenersi il Porcellum?) se non nella prima fase del voto, almeno in quella del ballottaggio, che spingerà l’elettorato alla concentrazione dei voti sui due partiti maggiori, anche perché l’idea berlusconiana del “Partito repubblicano” corrisponde alla necessità del nocciolo duro dei forzisti di affidarsi a un nuovo progetto (un Cavaliere che viene rivalutato proprio sulle colonne di Repubblica proprio non ce l’aspettavamo!) e la necessità di doversi misurare con i “5 stelle” dovrebbe portare Salvini e il Cavaliere (o ex-cavaliere) a fare i conti con i numeri.

 

Già. E se Renzi vince al primo turno? E poi non esprime forse una speranza fondata sul nulla il confidare sul fatto che le preferenze (che Claudio Tito apprezza in particolare e che l’Italicum reintroduce nel sistema elettorale) possano modificare in larga misura la natura dei partiti e il comportamento elettorale dei cittadini? non è un po’ troppo? per di più in presenza dei rischi che egli non ignora?

 

Né, a dire il vero, una valutazione più meditata sull’Italicum può venire da un confronto con i punti di vista di Piero Ignazi (Repubblica del 4 maggio), per il quale si tratta di una legge malfatta, che allontana i cittadini dalla classe politica e non garantisce nemmeno la stabilità governativa, che voleva garantire. E tutto questo perché Renzi ha preferito un accordo con Berlusconi (premio e preferenze) a una visione maggioritaria e uninominale (mentre Berlusconi non voleva i collegi uninominali). Nella sostanza l’Italicum è un Porcellum appena modificato e dominato da una tendenza oligarchica, concentrata su un ineliminabile premio di maggioranza (se scatta il premio – va però osservato - nel partito vincitore con la proporzionale sono eletti almeno 240 deputati) e la governabilità non è assicurata da quella che non è altro che un’illusione ingegneristica, perché il partito vincitore è soggetto alle mille liti e piraterie interne. La governabilità poi per Ignazi non è il principale problema, che è invece quello del distacco dei cittadini dalla politica…

 

In sostanza anche Ignazi, ci sembra, non prende la matassa per il bandolo, un comportamento che, come in più occasioni abbiamo avuto modo di precisare, consiste nel fatto che innovazioni in materia elettorale capaci di influire sulla natura e i comportamenti dei partiti, e quindi sul rapporto tra cittadini e classe politica, possono sgorgare soltanto dalla consapevolezza della necessità di rivalutare il ruolo di una presenza attiva ed autonoma dei cittadini nella competizione politica in generale ed elettorale in particolare e poi degli eletti all’interno delle istituzioni. Cittadini, non burocrati di partito; cittadini ai quali il partito (non si tratta infatti di negare il ruolo dei partiti) offre i supporti tecnici indispensabili per poter esercitare le funzioni di parlamentare (o di consigliere o assessore ecc.) con competenza e responsabilità. Idea del partito servizio, tanto per dire…

 

La riforma elettorale di Renzi, in sostanza, assomiglia alle altre; consente al premier di dire che ha inaugurato finalmente la stagione delle decisioni contro un immobilismo vecchio di mezzo secolo, con il conforto di un’opposizione (anche interna) molto accanita.

 

Non va dimenticato anche che la legge elettorale è una legge costituzionalmente necessaria, (se no, veramente, si apre la strada a un percorso autoritario deciso), che con l’Italicum il premio di maggioranza viene attribuito alla lista (cioè in sostanza al partito) e non anche alla coalizione di liste (cioè a più partiti, o subpartiti coalizzati o apparentati…), come avrebbe preferito Berlusconi, e che un governo sostenuto da un solo partito può favorire la governabilità… (se il partito è coeso e nella misura in cui lo è ecc.).

 

In realtà nell’ambito nostra classe politica qualunque agitazione sul problema della governabilità è sospetta e chi si agita sul tema è su per giù un, almeno potenziale, fascista, mentre poi contemporaneamente non viene nemmeno il sospetto che nell’attualità la smania antigoverno non garantisce nemmeno la rappresentatività. E i cittadini lo avvertono; infatti l’astensionismo è in crescita.

 

E poi non basta dire: viva i collegi uninominali e fermarsi. Ma chi saranno i candidati? Come arriveranno ad essere eletti? Come si presentano le candidature? Come è regolata la campagna elettorale? E gli eletti poi come si comporteranno? resteranno invischiati nelle baruffe chioggiotte dei personalismi, delle correnti, del gruppuscoli? Come venirne in capo, ecco. Questo è il terreno più scottante.

 

Lo sbocco grillino a sinistra (dove non vanno bene né D’Alema e nemmeno Vendola) e leghista a destra (dove non va bene nemmeno Berlusconi) la dicono lunga sul problema, senza dimenticare che le possibilità di indipendenza concreta di candidati e nuovi eletti sono molto condizionate, anche in rapporto alla vasta ingerenza dello stato “sociale” nella vita “sociale”, dove il medesimo aggettivo individua due realtà diverse e contrastanti….

 

Certo, è un discorso lungo, ma pare che nessun partito abbia voglia di cominciare.


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