È ormai un fatto scontato che i grandi difensori delle sovranità nazionali alla fine dei loro interventi avvertano la necessità di coprirsi su quello che possiamo chiamare il “versante europeo”. E così, dopo aver ampiamente lamentato per le perdite di sovranità nazionale, naturalmente presentate come ghiotte e inammissibili perdite di democrazia e violazioni di costituzioni, non manchino di spezzare una lancia in favore dell’integrazione europea, che viene presentata come un’esigenza da non dimenticare, un progetto per un lontano e vago futuro, in perfetta armonia con quanto è stato fatto negli ultimi sessanta anni. Dopo i quali ci troviamo sempre più o meno al punto di partenza, proprio perché quanto siano fuori tempo le democrazie nazionali e quanto danno stia arrecando al nostro futuro la strenua difesa delle sovranità nazionali è un discorso che si evita accuratamente di fare.
È la storia del percorso della vicenda europea che abbiamo sotto gli occhi, della quale la testimonianza più clamorosa fu la bocciatura del progetto di costituzione europea redatto, improvvidamente, da Giuliano Amato e da Valéry Giscard d’ Estaing. Un progetto che si guardava bene dal mettere le mani sui punti che veramente potevano intaccare le sovranità nazionali (politica estera, difesa, fisco), ma che fu egualmente respinto in un referendum del 2005 dai francesi, ai quali nessuno aveva mai spiegato il ruolo mortale che le democrazie nazionali subiscono per effetto di sovranità nazionali del tutto inette ad affrontare i problemi reali della nostra sopravvivenza nel mondo globalizzato e non meno della corporativizzazione generalizzata della vita pubblica.
Si lamenta che la sovranità nazionale della Grecia è stata (orribilmente) intaccata dai poteri forti del mercato globalizzato, che è più forte degli stati, mentre la stessa Germania agirebbe come longa manus (consapevole? inconsapevole?) di questi poteri. Ma nessuno dice che la difesa di fronte a questi poteri forti non sta nel tentativo assurdo di ridare piena inviolabilità alle sovranità nazionali, ma nel creare un vero potere europeo, in grado di farsi rispettare.
Nulla testimonia il deficit di effettiva, reale capacità operativa delle istituzioni europee come un raffronto tra la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve degli Stati Uniti. Soprattutto il fatto che la Fed (la banca federale degli Stati Uniti), oltre a poter esercitare interventi molto più ampi e penetranti di quelli della BCE fruisce sì di piena indipendenza, ma trae origine soprattutto dal potere federale, perché sette dei suoi dodici componenti sono nominati dal Presidente degli stati Uniti, e rende conto alle assemblee parlamentari.
La Fed è l’istituzione di un potere federale, che ha già stabilito i propri campi di competenza, mentre la BCE trae origine da trattati tra gli stati, che cercano di cedere il meno possibile dei propri poteri. Qui non si tratta di farsi paladini del rigorismo tedesco, sui cui rischi si è avuto occasione di soffermarsi più volte. Proprio uno dei maggiori creditori della Grecia, il Fondo Monetario Internazionale, ha ieri nuovamente insistito sulla necessità di un taglio ai debiti della Grecia, perché il paese sia messo in condizione di poter assolvere veramente ai propri impegni sottoscritti nel recente accordo. Ma chi in Italia potrebbe pensare di cacciar via dalla nostra Repubblica un regione che si fosse comportata come i greci? Solo chi pensa alla difesa delle sovranità nazionali come nume tutelare delle nostre democrazie.
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