Durante la Festa dell’Unità, il presidente dell’ANAC (Autorità Anticorruzione) Raffaele Cantone è intervenuto nel corso di un dibattito sul libro dell’ex magistrato Piero Tony, Io non posso tacere (Einaudi). È stata un’occasione per discutere dei problemi concernenti l’amministrazione della giustizia nel nostro paese: dalla separazione delle carriere all’obbligatorietà dell’azione penale, al ruolo rivestito dalle correnti interne alla magistratura e a quali interventi riformatori siano auspicabili.
L’ex pubblico ministero Cantone ha espresso le sue opinioni e si è detto convinto che bisogna avviare una stagione di riforme della giustizia senza esitare a esprimere forti critiche a una certa disposizione pregiudizialmente conservatrice dell’esistente. Dal «Corriere della Sera» del 5 settembre, gli ha replicato il presidente dell’ANM, Rodolfo Sabelli, che ha giudicato “superficiali” le critiche espresse da Cantone, giungendo finanche a prefigurare che egli abbia così favorito la diffusione di “visioni distorte” che “rischiano di contribuire a quella delegittimazione continua e strisciante nei nostri confronti che invece oggi si percepisce chiaramente. E non è un bel segnale”.
Viene da chiedersi se non sia ancor più delegittimante per la magistratura italiana la posizione assunta dall’associazione di rappresentanza, che in sostanza stenta a sopportare persino il confronto di opinioni fra i propri esponenti. Al punto da far trapelare fra le righe l’accusa per il capo dell’Anticorruzione di intelligenza con un “nemico” che non si sa se identificare con la politica, il crimine o quella parte – più o meno vasta – dei cittadini intrinsecamente allergici alla legalità, secondo il punto di vista di Sabelli.
Prima ancora che i limiti dell’arroccamento corporativo, preme tuttavia sottolineare come proprio la trasformazione dell’ordine giudiziario in una parte, in una “fazione” dello scontro fra poteri, costituisca la mina devastante che fa deflagrare la solidità della sua funzione a tutela della legge. Se questa funzione, che coincide nella investitura che i cittadini le attribuiscono di difesa dalla sopraffazione, è inficiata dall’arbitrio e dalla parzialità con cui amministra la giustizia, inevitabilmente essa verrà meno, lasciando senza speranza proprio quanti vanno protetti dai soprusi.
Il diverbio tra Cantone e Sabelli può ricordare per certi aspetti quello che vide contrapporre Falcone, divenuto direttore degli Affari penali presso il Ministero di Giustizia, a diversi suoi colleghi che, per questo, lo consideravano ormai un alieno. In questo caso, è però da segnalare come l’informazione abbia fatto di tutto per “troncare e sopire”. Se si esclude la replica del presidente ANM, che il «Corriere» ha pubblicato in taglio basso a pagina 21, e il resoconto del dibattito alla Festa dell’Unità uscito sul «Foglio», pochi sono stati i richiami delle osservazioni avanzate da Cantone. Per un personaggio la cui presenza è quasi quotidiana, è singolare che stavolta non ci siano stati “rilanci” da parte del sistema informativo. A ulteriore dimostrazione che il cambiamento del “sistema giustizia” è ancora tabù.
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