Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

28/12/24 ore

Parigi brucia


  • Silvio Pergameno

A fronte della strage, che per la seconda volta nel corso di quest’anno ha colpito Parigi, non sono pochi i commenti che sottolineano come un colpo sia stato inferto alla nostra democrazia, allo stesso nostro modo di vivere, che non potrà essere più come prima, come è stato nel corso degli ormai settanta anni che ci separano dalla fine del secondo conflitto mondiale.

 

Un’amara constatazione, che contiene i suoi elementi di verità, ma che trascura di prendere in considerazione un fatto che sta a monte di questo, come di altri terribili episodi della stessa natura che negli anni passati hanno colpito i paesi europei: il fatto cioè che nella vecchia Europa non c’è stato nessuno statista, nessuna istituzione comunitaria, nessun partito politico che sia stato capace di porre in essere una politica in grado di guidare un percorso, uno sviluppo diverso dei nuovi stati venuti in essere con la fine del colonialismo e degli altri che comunque con il mondializzarsi della vita politica venivano acquistando un nuovo ruolo.

 

E con la caduta del Muro di Berlino, con l’implosione del sistema politico che da oltre settant’anni governava  la Russia e ne plasmava la via interna cosa si è fatto per avviare rapporti nuovi con il gigante ai nostri confini orientali, con il quale un modus vivendi di pace e collaborazione appare ineludibile?

 

Anzi, a voler essere più precisi, quale paese europeo ha posto all’Europa questo problema con le possibili implicazioni? Anche la sinistra, forse soprattutto la sinistra che, proponendosi come forza del progresso, sventolava la bandiera del cambiamento, è rimasta in realtà ancorata a una vecchia cultura, a vecchie motivazioni, a vecchie aspirazioni, fino a che politologi e commentatori hanno constatato che una distinzione tra destra e sinistra non esisteva più. Una presa d’atto, in sostanza, che equivaleva a registrare la scomparsa di una sinistra dalla scena politica.

 

Oggi, di fronte a conflitti che provocano la morte di centinaia di migliaia di uomini e di donne, gli stati europei sono impotenti e si affidano alla speranza che Stati Uniti e Russia prendano la situazione in mano. È facile criticare le incertezze di Obama; è facile denunciare le mire di Putin; ma gli europei quali iniziative pongono in essere, quali responsabilità sono pronti ad assumersi?

 

Tutti bravissimi nel sottolineare le colpe di Israele per non aver saputo costruire relazioni possibili con i palestinesi, ma quale è stato il ruolo delle grandi potenze europee per assicurare ad Israele un futuro migliore? O forse c’erano pericoli per i rapporti con i grandi petrolieri della zona?

 

Così adesso la Russia sotto accusa per le prepotenze contro l’Ucraina, in breve volger di tempo è diventata la speranza di un intervento risolutivo per mettere in silenzio lo Stato islamico.

                                                                                                                                                                                      

La costruzione di un’Europa federata, l’unico cambiamento in grado di aprire la prospettiva di una democrazia consolidata, forte e capace di una presenza attiva sulla scena mondiale, ha sempre fatto un passo avanti e due indietro; con la Gran Bretagna sempre pronta a intervenire su una Francia esposta al rischio di lasciarsi sedurre a cedere alla prospettiva di avanzamenti verso un’Unione più stretta, fosse al tempo della Comunità Europea di Difesa sessant’anni fa, sia adesso di fronte all’allargamento dei poteri della Banca Centrale Europea.

 

La Francia appare morbosamente attaccata a un’idea di nazione che si confonde con quella dello stato, al quale appartengono le aspirazioni di grandezza e di gloria. Lo stato ha assorbito la nazione castrando l’idea di libertà negli isterismi del nazionalismo, alimento base della svolta autoritaria che nel secolo scorso si chiamò fascismo e in Francia prese corpo nella Repubblic di Vichy; oggi la mortifica nella sua inadeguatezza di fronte ai problemi attuali, che sono di natura mondiale.

 

Il Presidente Hollande, di fronte all’offensiva terroristica che ha colpito la Francia, molto probabilmente non poteva che prendere i provvedimenti che ha preso o annunciato o altri dello stesso tenore.

 

Il suo errore è stato quello di avere convocato a Versailles i parlamentari per annunciarne l’adozione, perché il grande castello è la consacrazione di quel monarca che nel secolo XVII volle la costruzione dell’immenso edificio che ne simboleggiasse la grandeur, proclamando che lo “lo stato era lui”: ma i rivoluzionari un secolo dopo costrinsero a lasciare quel castello il monarca pronipote e poi gli tagliarono la testa. Cantare la Marseillise a Versailles….

 

 


Aggiungi commento