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23/11/24 ore

La Francia e il Front National


  • Silvio Pergameno

L’esito definitivo delle regionali in Francia dopo il ballottaggio era, in fondo, tra le possibilità prevedibili, anche se nessun politico, nessun commento o intervento in materia aveva osato prevederlo, per non passare per disfattisti, forse; sorpresa forse può considerarsi la vittoria in cinque regioni dei socialisti, che, con la propaganda di Sarkozy tutta tesa misurarsi con Marine Le Pen, non lascia supporre che i Repubblicani del Movimento per un’Unione Popolare abbiano spostato il loro voto verso il Partito Socialista dove non si era ritirato dal ballottaggio.

 

Non si può invece escludere la possibilità che elettori di tendenze centriste o moderate, proprio in conseguenza dell’atteggiamento troppo sbilanciato a destra di Sarkozy, abbiano votato socialista, tenuto anche conto del fatto che l’attuale Presidenza della Repubblica e l’attuale Governo di Parigi non sembrano particolarmente qualificati “a sinistra”.

 

Ma il fatto che maggiormente porta a riflettere sull’esito di questa consultazione popolare è rappresentato dal ripetersi di quanto si verificò nel ballottaggio per le presidenziali del 2002, quando il candidato socialista Lionel Jospin al primo turno non riuscì a conquistare nemmeno il secondo posto e ad affrontare Le Pen padre – Jean Marie – si trovò Jacques Chirac, candidato della destra gaullista, risultato poi vincitore per i voti ottenuti dalla sinistra. A farla breve, insomma, la sinistra socialista non riesce a trovare niente di meglio che affidarsi a un espediente che avrebbe dovuto servire soltanto per superare un’emergenza elettorale; e se il “rischio di guerra civile” evocato dal Capo del governo Manuel Walls appare francamente una sciocchezza, ben più degna di meditazione la considerazione di Marine Le Pen che “il regime è in agonia”.

 

La leader del Front National non ha cioè fatto cenno alla crisi di questo o quel partito o magari di tutti gli altri partiti tranne il proprio, né si è riferita al governo in carica o all’attuale forma di governo, ma sembra abbia voluto salire un gradino più alto. Una critica al sistema presidenziale? Una critica al sistema elettorale del doppo turno con ballottaggio? O ancora più in alto? Ma questi sono, per l’appunto, sistemi, non regimi.

 

Certo è che il senso tutto francese della “nazione repubblicana” si disperde in una democrazia che vive una condizione di persistente emergenza, priva cioè di un funzionamento normale, che lo stato non riesce ad assicurare, costringendo il cittadino di sinistra a votare per la destra: dove è andata a finire la dialettica democratica?

 

Madame Le Pen, a capo dl maggior partito del paese, affida le speranze del “Front” alle presidenziali del 2017 al fatto che la sfida non sarà tra destra e sinistra ma fra mondialisti e patrioti, tra coloro che vogliono dissolvere la Francia, l’identità francese in un indistinto miscuglio e coloro che vogliono preservarla facendo della nazione uno “spazio protettivo”, in parole povere la politica dello struzzo, che al profilarsi di un pericolo nasconde la testa sotto la sabbia. La destra più radicale sta cioè abbandonando le pretese di di gloria e di grandezza?

 

Certo l’idea di una Francia ridotta a un rifugio identitario evoca l’immagine di un  processso di rétrecissement, in un sorta di rattrappimento ispirato dalla chiusura nella difesa dietro la porta di casa, che però i terribili episodi del gennaio e del dicembre di quest’anno hanno dimostrato che è già stata sfondata. Una forma di populismo incapace di contributi sostanziali, ma dentro la quale aleggiano nostalgie autoritarie. E il rischio aumenta in assenza di seria contrapposizione, tale non potendo consistere nel politically correct, altra forma di populismo, di diverso segno, ma non meno intessuto di banalità.

 

In fondo esistono parallelismi con la situazione italiana, anche se quello nostrano è molto più… casareccio. Ma quello d’oltralpe, proprio per il ruolo della Francia, assume aspetti più preoccupanti, basti pensare che la Francia ha rappresentato e rappresenta tuttora il maggiore ostacolo a un’evoluzione positiva del processo di integrazione europea. È però anche vero che in Italia il Movimento Cinque Stelle rappresenta quello stato d’animo di insoddisfazione e di protesta generica, di incapacità di analisi e di proposta politica che apre spazi all’avventurismo.

 

 


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