Non possiamo fermarci a piangere i nostri morti: è questo il senso dei commenti che seguono a ogni episodio dell’ormai interminabile, terribile serie di attentati che sta colpendo l’Europa, anche se poi non capita di leggere commenti che, se non anche veramente persuasivi per le proposte di reazioni e comportamenti e per l’indicazione di “un che fare” di fronte alle stragi, offrano almeno un punto di partenza convincente.
Debbo dire che le informazioni più approfondite e le considerazioni più attente e circostanziate le ho lette sulle edizioni del Foglio di questi giorni, dalla ricostruzione a firma di Giulio Meotti (dall’immigrazione saudita in Belgio avviata da re Baldovino, con accordi con re Feisal II che, in cambio di petrolio, concedevano ampie e strutturate possibilità di insediamento ai nuovi arrivati e dalla individuazione delle culle del terrorismo nei chiusi ghetti di immigrati islamici sparsi in tante città europee, all’intervento odierno di Adriano Sofri, che compie decisi passi avanti nell’analisi dello sconvolgente fenomeno, con il quale ci troviamo a dover fare i conti.
Il discorso è subito posto da Sofri sul terreno giusto e si svolge attraverso passaggi ineccepibili: la frammentatissima Europa, l’Europa che pensa sia “realismo” il “cinismo” della propria“renitenza alla leva” di fronte a cinque anni di massacri in Siria (e in Iraq) e l’ “imbecillità…della lunga inerzia” di fronte alla “guerra jihadista cresciuta fino a farsi stato”, che ha offerto al proprio proselitismo un affascinante richiamo senza precedenti, ha alimentato il terrore autoctono, ha sequestrato la libertà politica in Europa di fronte all’onda dei fuggiaschi.
È l’Europa che oggi offre a un Erdogan islamista e intollerante quello che ha negato alla Turchia e a lui stesso “ancora in bilico” parecchi anni fa (evidente l’allusione alla ripresa delle trattative per l’ingresso nell’U.E.) e assiste alla terza impresa di Putin in Siria, dopo quelle di Crimea e dell’Ucraina dell’est, che erano “di sua specifica competenza. E infine l’amara conclusione: nella concordanza fra governi, burocrazie e popolazioni un “pullulare di sacri egoismi, cinici e imbecilli”: mai una questione “affrontata con intelligenza, umanità, lungimiranza”.
Un discorso pregnante e animato da uno sdegno che viene dal cuore: costringe a riflettere e a passarsi una mano sulla coscienza. Solo che non c’è una conclusione. Sofri parte bene quando si pone subito sul terreno europeo e dell’ Europa marca subito la frammentazione; ma non va oltre, non riflette sul fatto che l’incapacità di analisi al di là dei “sacri egoismi” è la conseguenza diretta della frammentazione.
Le analisi dei soggetti istituzionali che hanno responsabilità di governo, in particolare, sono legate alle possibilità di assumere poi decisioni concrete: l’orizzonte si ferma ai propri confini (quando non in un ambito più ristretto (e parecchio…) e il velleitarismo non è consigliabile ai governanti. I paesi europei sono oggi le Certose di Parma di stendhaliana memoria.
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