Nella disamina degli attivi e dei passivi del Governo Renzi non può mancare una breve analisi relativa ai ritardi ed agli avanzamenti, veri o presunti che siano, nel campo in cui il nostro Paese si trovava – ed in parte ancora si trova – più indietro di tutti i suoi epigoni interni alla Comunità Europea, ovvero l’agenda digitale.
L’agenda digitale europea è datata 2010 e si riprometteva già ai tempi del governo Berlusconi IV di programmare e dirigere una politica convergente di sviluppo nelle ICT (Tecnologie Informazione e Comunicazione) nei Paesi dell’Unione in sette aree definite pilastri fondamentali ovvero:
1. La creazione e la promozione di un mercato digitale unico europeo
2. La definizione di standard di interoperabilità tra prodotti e servizi delle pubbliche amministrazioni europee
3. Migliorare fruibilità e sicurezza dei servizi in rete
4. Garantire la copertura totale della banda larga ed ultra-larga in tutta Europa
5. Investire in ricerca sviluppo ed innovazione dell’ICT
6. Aumentare l‘alfabetizzazione digitale dei cittadini europei
7. Garantire l’utilizzo massimo delle ICT a vantaggio della Società Europea
Questi nobili e giusti intenti hanno visto svilupparsi negli anni la nascita dell’Agenda Digitale Italiana, l’avvicendarsi di persone e progetti di sviluppo, e la consapevolezza crescente della permanenza nel nostro Paese di una situazione di ritardo strutturale ed allarmante per quanto riguarda praticamente tutti i punti in oggetto.
Il quadro italiano era – ed in gran parte è – pessimo; il mix, tutto italiano, di arretratezza e post-modernità ci consegna ad oggi una società civile ed un substrato di attori economici paradossalmente ignoranti, disinformati, estremamente lassisti e contemporaneamente ribellisti, tendenti all’assistenzialismo cronico ed incoscienti delle proprie potenzialità, dei propri ritardi e delle prospettive possibili e/o abbordabili; il DESI (Digital Economy and Society Index) 2015 non fa altro che riportare le evidenze di queste mancanze collocandoci in un imbarazzante quanto stabile 25° posto in Europa davanti a Grecia, Bulgaria e Romania che, ad onor del vero, sono migliorate in proporzione quasi tutte più di noi (rispettivamente del 4,7%, 4,6% e 2,6% contro il nostro 3,9% stabilendo una distanza dal nostro indice di sviluppo – che vale 0,37/1 – dell’ 1,7% , 3,0% e 5,8%).
Se è vero come è vero che i risultati dell’impegno a “fare sul serio” del Governo sul digitale si vedono poco è pur vero che un giudizio troppo “grossier” rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca e di non considerare due fattori non di poco conto in questo ritardo ovvero la struttura storicamente e politicamente determinata del mercato delle telecomunicazioni e del substrato socio-culturale in Italia e l’effettiva “operabilità” del governo in tal senso, sia economicamente che normativamente.
Per fare un po’ di chiarezza in più in tal senso facciamo una breve analisi delle cinque dimensioni del DESI e vediamo effettivamente, al di la delle banali retoriche pro e contro il Governo come effettivamente si può misurare l’evoluzione – se c’è stata – del digitale in Italia...
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