Una ricetta per salvare l’Italia dalla corruzione non può non trovare ampia eco e ampio consenso tra il pubblico giustamente risentito (forse un po’ più che risentito…) perché poi le conseguenze si riversano sulle sue tasche, non di rado di colore verdastro o giù di lì, e pronto ad applaudire chi alza la bandiera contro i politici, quei politici che non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi, come pensa Piercamillo Davigo, Procuratore della Repubblica a Milano e oggi Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Una bomba. E la politica?
Chi scrive pensa che la politica a ben vedere non replica o, meglio, non ha offerto proposte idonee, concrete ed esaurienti nella polemica di questi giorni, perché il governo ha sì rivendicato la competenza delle autorità politiche in tutta questa faccenda, ma poi ha preferito rinviare ogni ulteriore passo avanti. Così come giuste ma “non concludenti” sono apparse le dissociazioni provenienti dal Consiglio Superiore della Magistratura, per bocca del Vicepresidente Giovanni Legnini, laddove più mordente ha rivelato, nell’intervista a Repubblica, Edmondo Bruti Liberati, Procuratore della Repubblica a Milano, sino a pochi giorni fa, e magistrato di idee avanzate, il quale ha sottolineato che il giudice deve occuparsi di processi sui singoli reati, mente il compito di combattere la corruzione esula dalle sue funzioni. Ben detto! Ma non è tutto. E’ solo un punto di partenza.
Sulla vicenda è intervenuta Agenzia Radicale con la “Maledetta politica” di questa settimana: “Renzi – Davigo: scontro nuovo, storia vecchia”, nella quale il Direttore Giuseppe Rippa rileva prima di tutto che in effetti non ci sono novità perché il problema, in sostanza, è quello eterno dell’assenza dello stato liberale, assenza che riduce la questione giustizia a uno scontro fra corporazioni e tra poteri, con grave danno non soltanto al livello istituzionale ma proprio sul terreno fondamentale della difesa del buon diritto dei cittadini, in particolare di quelli più deboli e che più di tutti hanno bisogno del giudice, non avendo altre forme di tutela: la magistratura è essenziale per ogni democrazia. E se non si affronta la crisi della giustizia sul piano giusto, non si compiono passi avanti.
Rippa dà atto che iniziative legislative sono state intraprese sul piano delle riforma della giustizia, ma ne rivela insieme i limiti, la timidezza; e, per restare all’attualità, si sofferma su un altro tema all’ordine di giorno, quello delle intercettazioni, strumento essenziale per l’esercizio dell’azione penale – nessuno lo può contestare -, ma che poi registra un’iniziativa sul solo versante della fuga di notizie e del coinvolgimento di persone che nulla hanno a che fare con le inchieste in corso, ma che possono subire danni rilevanti a causa del discredito che si riversa su di loro per fatti di stretta natura privata. Già! ma la fuga di notizie all’origine del misfatto? Ci sarà pur qualcuno che si è dimenticato di chiudere il cassetto…E poi le intercettazioni su larga scala che divengono strumento di ricerca del reato? E finiscono con il sostituire il minuto, lungo, attento lavoro di inchiesta, che è il tessuto strutturale alla base della promozione dell’azione penale, cioè la ricerca della verità? Senza trascurare inoltre il fatto che notizie che viaggiano liberamente, specialmente fuori dal contesto di un processo penale, possono venire utilizzate per le finalità più svariate…
La stampa ci si getta sopra, rivendica il diritto di informare (che invece è un dovere…) e i magistrati sono coinvolti, proprio in uno scontro politico! Queste considerazioni sono una pietra miliare per affrontare il problema della crisi della giustizia, (del quale la lotta alla corruzione è momento rilevante) perchè la questione va inquadrata partendo proprio dalla divisione dei poteri, fondamento di ogni democrazia, il cui accantonamento, (anche apertamente teorizzato) è sempre stato alla base delle svolte autoritarie; basti pensare al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, voluto da Mussolini nel 1926 per giudicare dei reati politici contro la sicurezza dello stato (composto di ufficiali delle Forze Armate e della Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale, che agiva con le norme del Codice penale militare e anche di quello di guerra).
L’intervento di Rippa è molto più complesso, ma qui interessa soffermarsi sul senso e la portata della divisione dei poteri, che è il fondamento degli ordinamenti di democrazia liberale ed è il fondamento della stessa indipendenza della magistratura, che deve essere indipendente, e la cui indipendenza si realizza proprio perché, e se, rigidamente separata dagli altri poteri di natura politica e perché, e se, non entra nelle vicende politiche, dove si scontrano interessi delle varie parti in gioco. Il giudice invece è al di sopra e al di fuori delle parti, in una posizione di terzietà (e qui si potrebbe aprire il discorso sul Pubblico Ministero…) ed è istituito per dirimere le controversie tra soggetti, da risolvere in tribunale e non a schioppetate.
Quando si ritiene che la magistratura debba occuparsi di questioni di carattere generale, farsi carico della corruzione, dell’ordine pubblico, del buon costume, della stessa democrazia, del controllo della legalità… non ci si accorge che le si affidano compiti di natura politica e che quindi, per forza, la fanno entrare in politica, negando la sua stessa indipendenza. I giudici non sono più giudici e diventano essi pure parte della lotta politica, come ha sottolineato Rippa.
La magistratura diventa “contropotere”, come pure è stato ampiamente teorizzato, e perde la posizione di terzietà e di indipendenza, indispensabile per giudicare serenamente: diventa una pistola puntata, In margine a queste considerazioni, occorre pur rilevare - sotto il profilo storico/politico – che tutte le posizioni che riducono a un problema unico con una soluzione unica vicendespesso intessute di problemi senza fine e le cui soluzioni sono non di rado incompatibili tra loro, appaiono prive di quell’analisi politica minuta, attenta, laboriosa, capace di cogliere e formulare distinzioni nella terribile complessità del reale, un lavoro che è la premessa indispensabile per avviare riforme pregnanti. E poi i discorsi che spiegano tutto (e non significano nulla, come diceva Gaetano Salvemini) riscuotono successo certo molto popolare, ma restano anche scoperti alla tentazione della giustizia sommaria delle tricoteuses, e non di rado non risolvono alcun problema, come è successo proprio a Mani Pulite, la cui opera – Rippa lo ricorda - ci ha lasciato tuttora intatto e anche aggravato il problema della corruzione. E non a caso, nell’affaire “corruzione” esploso in questi giorni si sono entusiasmati i 5 Stelle e la Lega, soggetti politici che canalizzano la facile protesta epidermica e ribellistica, ma si rivelano privi di progetti e progettualità.
Ovvio che la corruzione è un aspetto della malapolitica e una responsabilità della malapolitica; ma alla politica il problema fa carico e la politica ha gli strumenti per venirne in capo, cominciando a guardare dentro se stessa. Basta volere.
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