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23/11/24 ore

Sadiq Kahn sindaco di Londra


  • Silvio Pergameno

La prima cosa che mi è venuta in mente quando è arrivata la notizia dell’elezione di un figlio di genitori pakistani a sindaco di Londra è stato un parallelo con quella di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti: e questa che viene da Londra è una novità molto più grossa, perché gli Stati Uniti sono una nazione di immigrati e Obama è arrivato dopo oltreduecento anni di storia della democrazia americana e dopo le battaglie per i diritti civili degli afroamericani di Martin Luther King.

 

Sadik Kahn è figlio di un conducente di autobus e di una sarta, due immigrati che si sono rimboccati le maniche, ed ha alle spalle una carriera politica all’interno del Labour party, per il quale è stato parlamentare e ministro (con Gordon Brown). In Inghilterra la vittoria elettorale di Kahn è arrivata all’interno di quella lenta e normale evoluzione della vita politica che caratteriza ormai da secoli la storia della democrazia inglese, avanzata passo dopo passo; un percorso che dura ormai da quasi quattro secoli e senza una costituzione, né bella né brutta, della quale non si è mai avvertito un bisogno.

 

Quattro secoli, o forse otto, perché proprio lo scorso anno è scaduto l’ottavo centenario della Magna Charta, il documento con il quale il re riconosceva ai nobili, alla chiesa e ai comuni le tradizionali libertà, prima lontanissima origine dei futuri sviluppi democratici… E con Sadik la democrazia inglese ha compiuto un altro passo avanti, senza clamori e senza scossoni. Senza paure di perdite dell’identità nazionale; e in una città nella quale la maggioranza della popolazione non è “inglese”, ma indiana, pachistana, musulmana, ebraica… e dove si parlano centinaia di lingue o dialetti che siano.

 

Così la vicenda di Khan fa parte dell’individualismo inglese e liberale, dove le convinzioni ideali e religiose sono fatti personali, protetti dal pieno rispetto dell’individuo (e non da concordati o intese) e che non ha bisogno di proclamazioni e di codificazioni. Londra ha subito un grave attentato nel 2005, ma ha prodotto anche un sindaco pakistano e musulmano, che come prima dichiarazione appena eletto ha detto che vuol essere il sindaco di tutti. E, nella fattispecie, non si tratta di una frase fatta.

 

Sadik è un laburista della sinistra moderata del labour e può riscuotere simpatie nell’elettorato centrista e persino in quello di destra e si troverà a dover governare una città che è uno dei centri finanziari più grandi del mondo. Ma il nuovo sindaco sa che il capitalismo (privato)è la realtà dinamica dell’economia, ma che, però, può (e deve) essere gestito con regole che lo preservino dal potere dei monopoli e delle enormi concentrazioni che ne eliminano il tratto fondamentale, la spinta della concorrenza. E il nuovo sindaco ha inoltre un preciso bagaglio propriamente laburista proprio in vista di sostegni e servizi di natura sociale per sostenere i settori più deboli della popolazione. E in questo trova un’affinità più con Tony Blair che con l’attuale segretario del partito, Jeremy Corbin, con il quale peraltro condivide la necessità che il suo paese rimanga nell’Unione Europea. Niente Brexit (ed è comprensibile che, se si vuole creare un contropotere effettivo al potere/strapotere delle grandi multinazionali, la sede credibile non può certo esser rappresentata da uno dei vecchi stati europei diventati ormai troppo piccoli…).

 

Corbin, sinistra estrema nel labour, esce sconfitto da questa elezione, avendo perso voti nelle altre elezioni che si sono svolte in contemporanea con quella per il sindaco di Londra (per i governi regionali di Scozia, Galles e Irlanda del nord e in altre elezioni locali). Come invecchiato appare davanti al paese lo scontro interno al partito laburista che vede contrapporsi a una tendenza riformista (Tony Blair per capirsi) le vecchie posizioni in difesa delle posizioni più corporative.

 

 


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