"«Confesso che ho vissuto». Perché mi è venuto in mente il titolo di questo libro postumo di Neruda? Perché in quel libro c’era la rappresentazione di una vita che conteneva molte vite. Su questa forma di onnicomprensività ho pensato a Marco; ho pensato al modo in cui ci ha rifornito, con quel sentimento di ragione critica, che nel tempo che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere è completamente smarrito." Con queste parole il direttore di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale, Giuseppe Rippa, ha iniziato il suo intervento, in occasione della cerimonia pubblica in memoria di Marco Pannella che si è svolta sabato, 21 maggio 2016 in Piazza Navona a Roma. Qui di seguito proponiamo l'estratto video tratto dalla ripresa diretta di radioradicale.it e il testo sbobbinato dell'intervento.
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«Confesso che ho vissuto»
Cerimonia pubblica in memoria di Marco Pannella
Intervento di Giuseppe Rippa
«Confesso che ho vissuto». Perché mi è venuto in mente il titolo di questo libro postumo di Neruda? Perché in quel libro c’era la rappresentazione di una vita che conteneva molte vite. Su questa forma di onnicomprensività ho pensato a Marco; ho pensato al modo in cui ci ha rifornito, con quel sentimento di ragione critica, che nel tempo che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere è completamente smarrito.
Abbiamo provato a fare una piccola indagine e abbiamo constatato, nei limiti di un’indagine consumata entro le quarantotto ore, che la maggior parte dei ventenni non sa chi è Marco Pannella. È un nome che non è noto. È vero, la grande macchina del sistema informativo ha riempito questi giorni dell’immagine di Pannella, volendo leggerla strumentalmente potremmo dire che ha fatto il suo mestiere: quello della deformazione sistematica. Il “grande imbecille collettivo” verrà coltivato, siatene sicuri. Se andate sulla pagina di un grande settimanale, troverete un grande giornalista che ha già scritto il suo pezzo titolandolo: “È morto il profeta dell’anti-politica”. La più grossa stronzata che si potesse mai scrivere pensando a Marco Pannella.
Eppure, sappiate che – finiti questi giorni – si reitererà questo meccanismo, perché il primo elemento che va distrutto è il contributo dell’individuo con il proprio bagaglio di responsabilità e di ragione critica. E, con esso, anche la comprensione della pluralità di piani che ognuno di noi vive in una sola giornata, che coincide con quel metodo empirico, laico e – contemporaneamente – cristiano, profondo, ricco di passioni e di tensioni. Questo metodo è stato il tentativo, per anni iscritto nella cultura reietta del nostro paese, perché occupata da ideologie centralistiche e verticistiche, completamente distruttive della responsabilità dell’individuo. Ideologie che ci hanno condotto in questo vicolo cieco, che oggi non hanno risposte da dare se non costruite ancora sulle loro macerie.
In questo senso, il tipo di rappresentazione che è stata data di Marco è qualcosa che ci reca un senso di amarezza. Almeno l’ho vissuto in questa veste, vedendo gli spezzoni in cui è stata raccontata a livello televisivo una storia ricca, densa, piena di intelligenza e capace di indicare i modi nei quali si costruisce un’alternativa. I contributi erano molteplici. Quelli della nonviolenza, ad esempio: perché Marco – come ha accennato prima Fulvio Abate – ha guardato con perplessità l’essere iscritto nella logica del pacifismo? Marco non era un pacifista, io non sono stato un pacifista. I nonviolenti sono così agguerriti che voi non ve li immaginate neanche.
E ciò corrisponde in modo assoluto al modello cui ci si contrappone dell’azione violenta, stupida, costruita scientificamente perché esaustiva, priva di vera efficacia. La cultura della violenza si nutre principalmente di quegli elementi che sono di deformazione informativa. Voi pensate che Hitler potesse costruire la sua grande macchina di potere, senza una disinformazione sistematica, bastarda, priva di capacità di riflessione critica? Così da realizzare un vero e proprio massacro delle valutazioni e dei giudizi in quanto tali?
Non avevo voglia di parlare di politica, ve lo confesso. Ma quando ho visto questo titolo sulla configurazione di Pannella come ultimo “profeta dell’anti-politica”, mi si è accapponata la pelle. Ho pensato: veramente fra non molto saremo ri-occupati da quella macchina da guerra plasmatrice del “grande imbecille collettivo”, quello che loro hanno bisogno di formare. Perciò nel nostro paese non si riescono a formare luoghi di riforma: perché vengono sistematicamente fatti fuori. E Pannella, che ha costruito questi segmenti riformatori, ha avuto almeno il merito di consegnarci una rivelazione. Quella che oggi si è consumata, nonostante l’ostracismo cinquantennale: un popolo sotterraneo, underground, si è rivelato… Si è rivelato nelle sue fattezze, con le sue stranezze, le sue identità e la sua molteplicità. E ha voluto consegnare un ricordo a tutti noi, nella più grande occasione di ricordo laico che ci sia stata in questi anni nel paese.
In qualche misura ha gettato il seme della speranza, della ragione critica, della cultura che Marco ci ha insegnato. Una possibilità di essere di nuovo vivi e vitali. Senza di essa andremmo incontro a situazioni molto gravi. L’azzannare il conflitto, come noi abbiamo imparato a fare, grazie al contributo di Pannella, basti pensare a iniziative come quella di Iraq libero. Un’iniziativa che andava a iscrivere la lotta politica sul terreno del conflitto e cercava attraverso un processo complesso e complicato di costruire un’azione che non portava alla guerra. Ma quelli, gli uomini delle armi, la guerra volevano. L’hanno perfino anticipata di quattro giorni, perché non ne potevano fare a meno.
E pensate al disegno strategico che io mi trovai addosso appena eletto segretario del Partito Radicale. Voglio dire la campagna sullo sterminio per fame… un qualcosa che dapprima non avevo compreso, ci ho messo qualche mese per elaborarlo in una maggiore forma politica. Quel disegno comprendeva tre grandi verità. Una verità morale, che si consumava nel fatto che il 10% del mondo mangiava il 90% delle risorse, mentre al 90% dell’umanità era destinato il 10%. Qualcosa di inaccettabile, al pari della rappresentazione del fatto che oggi 380 persone detengono il potere su tre miliardi di persone.
C’era poi una verità economica, configurata con la possibilità di poter invadere in senso positivo, dando nutrimento a prefigurazioni costruttive nella grande regione dimenticata del mondo, l’Africa. Una grande operazione attraverso la quale dare sviluppo a una cultura di economia liberale, che fosse densa e non consegnata a pochi attori finanziari che oramai governano il sistema mondiale e disegnano istituzioni e soggetti politici, comportamenti e fondamentalmente una grande massa di sistema informativo, completamente sottoposto a una sudditanza senza nessuna deontologia.
Vi era infine una terza verità, tutta politica, e che viviamo ogni giorno con la massa di immigrati che arriva per fame, per guerra e per distruzione.
Questa era la profondità politica radicale che il regime non poteva sopportare, che non poteva tollerare, perché rappresentava una cultura di governo politico delle situazioni nel rispetto degli individui, di tutti gli individui, di tutte le vite. E questo è il ricordo del perché “Confesso che ho vissuto” aveva un senso che sentivo di dovervi esprimere.
- Cerimonia pubblica in memoria di Marco Pannella - Intervento di Giuseppe Rippa (Agenzia Radicale Video daRadioRadicale.it)
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