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15/11/24 ore

La Marianna la va in campagna …


  • Luigi O. Rintallo

Dall’intervista a Enrico Mentana su La7, trasmessa in “Bersaglio mobile” all’indomani della morte di Pannella, Giovanni Negri è ricomparso sulla scena politica e oggi promuove una convenzione che intende proporsi come polo aggregatore di tutti i radicali, i laici e la sinistra riformista, con l’intento di realizzare un’azione di governo che faccia uscire il Paese dalla palude stagnante e apra la fase della Terza Repubblica.

 

La Marianna, questo il nome del nuovo soggetto politico, come si legge nella presentazione sul sito web, non vuole “rifare una tribù, un partitino, una sigla”, ma ha l’ambizione di ricostruire il Paese a partire da “poche, ben definite proposte politiche”. Tra le cinque elencate nel “cosa vogliamo”, chiamate “frecce”, l’ultima recita: “Repubblica presidenziale, completare il cambiamento”. Vi si chiede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e l’adozione di una legge elettorale uninominale.

 

Già dal titolo di questa “freccia”, emerge il giudizio positivo sulla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi, tant’è che se ne richiede soltanto un “completamento”. In queste settimane, Giovanni Negri ha avuto modo di pronunciarsi più volte in suo favore, tanto da dare impulso a comitati per il SI al prossimo referendum confermativo con lo slogan “SI al referendum, SI ai radicali”.

 

Ora, al contrario di quanto espresso da Negri nei suoi interventi, sarebbe fuorviante ridurre la contrapposizione fra SI e NO come un contrasto tra innovatori e conservatori. A fianco dei “tutori” della Costituzione “più bella del mondo”, tetragoni a ogni minimo ammodernamento della legge fondamentale, figura infatti gran parte dell’odierna opposizione in Parlamento, compreso quel centrodestra berlusconiano che la Costituzione modificò ampiamente nel 2005 con una riforma che riduceva il numero dei parlamentari, differenziava il ruolo di Camera e Senato ed interveniva in modo significativo sui compiti svolti dal Capo dello Stato e dal primo ministro. Com’è noto quella riforma, approvata in Parlamento senza la maggioranza dei due terzi, fu poi respinta dal referendum del 2006, cui partecipò poco più della metà degli aventi diritto.

 

Il fatto che Giovanni Negri si spenda per sostenere il SI alla riforma presentata dal ministro Elena Boschi in Parlamento, mal si concilia con i dichiarati propositi riformatori del nuovo soggetto politico di cui egli è promotore. Se c’è un dato difficilmente contestabile, al di là di ogni altra considerazione sul provvedimento, è il suo carattere di irrilevanza sul piano di un effettivo mutamento. Perfino il superamento del “palleggio” fra Camera e Senato è in realtà fittizio, dal momento che può rientrare dalla finestra su richiesta di una trentina di senatori. Per non parlare dei numerosi passaggi della legge predisposti, per come sono scritti, a determinare impasse e pastrocchi istituzionali.

 

Pretendere come fa Negri di creare sul prossimo referendum (di novembre, ormai) il discrimine fra riforma e reazione, cambiamento e immobilismo, finisce allora per essere l’ennesimo processo mistificatorio prodotto dalla dialettica politica. Da tempo in Italia ogni processo di riforma è ben lontano dall’esprimere davvero una cultura riformatrice e, anche quando esso si porta a compimento, non produce affatto gli esiti sperati ma anzi finisce per arrecare nuovi danni.

 

Non fa eccezione, temiamo, anche la riforma costituzionale tanto più per come essa si innerva con la modifica del sistema elettorale. E forse non è un caso che i ripensamenti che vanno manifestandosi sull’Italicum abbiano di fatto contribuito a “scaricare” di energia lo stesso confronto sull’introduzione di un Senato non elettivo.

 

A ulteriore dimostrazione del carattere di strumentalità che ha contraddistinto l’intera discussione sui cambiamenti proposti dal governo Renzi, con il sostegno e l’ispirazione dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Non certo un campione del rinnovamento, ma piuttosto il tardo epigono di quel comunismo amendoliano che, sin dal 1959, Marco Pannella giudicava “scoraggiante” per il suo proposito perennemente volto al compromesso, contro tutta la sinistra democratica e liberale.

 

 


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