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02/12/24 ore

Napolitano: il ruolo del Presidente


  • Silvio Pergameno

 

E' possibile che l'andamento della politica italiana subisca una dislocazione in conseguenza degli avvenimenti dello scorso novembre, quando il Presidente Napolitano, ottenute le dimissioni di Berlusconi, ha nominato il nuovo capo del governo, in persona dell'on.le Mario Monti, procedendo con modalità che non hanno mancato di provocare mormorii di protesta per supposte violazioni della legittimità repubblicana, in quanto aveva agito di testa propria e non uniformandosi alle richieste dei partiti.

 

In realtà nell’occasione è stata restaurata proprio la corretta interpretazione delle norme costituzionali di cui agli artt. 88 e 90, comma 2°, della Carta, che configurano un Presidente della Repubblica con un ruolo connotato da specifici poteri: in effetti i costituenti non vollero affatto configurare una Repubblica dei partiti, quale si è poi venuta costruendo nel corso della prima Repubblica e dalla quale la seconda (rimasta sostanzialmente la prima, quanto meno sotto il profilo della prassi costituzionale, o, meglio, incostituzionale) non è riuscita a liberarsi; non vollero affatto fare del Presidente della Repubblica una figura notarile, proprio per evitare il riprodursi di quanto era accaduto negli subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, quando una situazione di palese e protratta ingovernabilità fu il terreno sul quale maturò lo sbocco autoritario.

 

Alla costituente non prevalse certamente un’impostazione presidenzialista, che pure ebbe dei sostenitori, ma si volle dotare il Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio insieme con quello, strettamente connesso, di sciogliere le Camere, proprio nell’intento di porre un freno agli eccessi del partitismo e di evitare situazioni di ingovernabilità.

 

La più che palese crisi del partitismo esplosa nel momento assai difficile che la nazione sta attraversando, e l’incapacità di venire in capo con la crisi di governabilità già a suo tempo affrontata da Bettino Craxi, che comunque non fu in grado di superare le resistenze dell’establishment, i ripetuti fallimenti delle commissioni incaricate di progettare riforme costituzionali nel corso di trent’anni, hanno prodotto un esito da non sottovalutare, quale deve essere considerato l’avvenuto riconoscimento del ruolo e dei poteri del Presidente della Repubblica: non si tratta di una riforma della costituzione, ma proprio l’accantonamento di una prassi in un campo altamente significativo dell’architettura istituzionale non potrà restare senza conseguenze.

 

E del resto il sottofondo della cronaca politica e la stessa incapacità dei partiti di giungere alla definizione di una nuova legge elettorale presentano un risvolto di lettura che ben giustifica le considerazioni che precedono. Nella prossima legislatura il Capo dello Stato avrà un peso assai più rilevante che nel passato. E allora è chiaro che acquista massima importanza capire chi sarà il Presidente della Repubblica all’atto della formazione del nuovo governo dopo la prossima consultazione elettorale.

 

Dovesse essere ancora Giorgio Napolitano? Con il rischio, per coloro che lo temono, di un Monti bis…meglio aspettare a dotare il paese di una nuova legge elettorale, così intanto il mandato dell’attuale Presidente della Repubblica scade e il successore sarà eletto dal nuovo Parlamento…

 

Tutta le sequela di proposte e controproposte in materia di legge elettorale sembrano poi alimentare un dibattito assai poco persuasivo, perché il problema di fondo non è di natura giuridica. Si dice che la proporzionale, favorendo il momento rappresentativo, sarebbe responsabile dell’ingovernabilità, perché consente la presenza in Parlamento di un gran numero di formazioni politiche, con la possibilità poi dello svolgersi di processi di frammentazione e (raramente) di ricomposizione di forze e con la conseguenza di continue crisi di governo.

 

Durante la prima Repubblica queste anomalie non erano molto avvertite, perché la continuità dell’opera di governo era assicurata dal massiccio blocco democristiano e dalla convergenza centrista, ma con la crisi della DC il problema si è fortemente acuito perché non si sono trovate nuove soluzioni.

 

Tuttavia anche il maggioritario successivamente esplorato non si è rivelato molto più fattivo, perché dal 1994 in poi non si è mai concretizzato un vero partito di maggioranza, coeso e compatto: la frammentazione in partiti e partitini autonomi si è trasferita all’interno dei partiti maggiori o dalle coalizioni di partiti apparentati presentatisi insieme alle elezioni al solo scopo di vincere elezione e di fruire di premi di maggioranza; il tutto poi in un contesto generale privo di vera discussione politica e di capacità di approfondimento dei problemi e quindi caratterizzato da profondo degrado e dal prevalere dei piccoli interessi di bottega.

 

Napolitano ha battuto un colpo…


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