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23/11/24 ore

Macron e i sovranisti


  • Silvio Pergameno

Nella primavera del 2017 Macron vinse le elezioni presidenziali e le legislative dopo una campagna elettorale largamente centrata sul rilancio dell’integrazione europea, indispensabile di fronte all’incapacità degli stati europei di esser presenti nei rapporti internazionali in un mondo globalizzato. Era sicuramente una sfida alla Francia degli “identitari”, che nel recente passato avevano sempre vinto i confronti decisivi su questo terreno – dalla bocciatura della “Comunità europea di Difesa” nel 1954 al rifiuto della Costituzione europea nel 2005.

 

Come mai Macron riuscì a persuadere la maggioranza dei connazionali, lanciando una indicazione politica che sul piano elettorale ha avuto successo? La costruzione dell’Europa doveva essere la missione della Francia, ha detto Macron, sulla scia della “Grande rivoluzione”, che duecento anni ha diffuso libertà e democrazia in tutto il continente.

 

Non un’improvvisazione, perché pone il problema su un terreno molto intrigante e insieme con un profilo che offre un percorso forte di motivazioni interne alla cultura della sinistra. La stessa evocazione della grandeur nazionale viene ancorata ai fondamenti dell’ “89” (e, nello scontro con Marine Le Pen del maggio 2017, il Front National  - quello dell’altra grandeur, la grandeur introversa, identitaria… -  viene doppiato e a Parigi Macron sfiora il 90%).

 

Certo si è trattato di qualcosa di più di un ingegnoso espediente, di una bella trovata, perché la Francia è stata messa di fronte al suo problema di fondo, soprattutto la sinistra; questo è vero. Ma altrettanto vero è che poi Macron ha vinto con un esito di rilievo perché di fronte si è trovato il Front National di Marine Le Pen. La strada che quindi di trova davanti non è tutta in discesa. La sfida infatti è rischiosa, e lo è soprattutto perché contiene un elemento di contraddizione interna.

 

 Quello di Macron è infatti un progetto che - per essere credibile – ha bisogno di disporre di una Francia forte, autorevole, riconoscibile e riconosciuta tale, un percorso che postula la necessità  di risultati positivi su temi altamente sensibili, come dire… sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, in un paese che ha subito gravissimi attentati, con una forte presenza di immigrati di seconda generazione, con una periferia urbana della capitale in condizioni molto difficili…Tenendo soprattutto presente il fatto che la soddisfazione  della mentalità “nazionale” dei francesi si sarebbe fatalmente rivelata in contrasto con le esigenze di una politica europeista e per di più avrebbe favorito nei partner europei la propaganda sovranista.

 

Anche se non è questo il problema più grosso. Macron lo sa, tanto è vero che nella campagna elettorale dello scorso anno ha chiesto dieci anni di tempo. Sarà un andamento di alti e bassi. Facciamo qualche esempio.

 

La questione libica, in primo luogo (che non è soltanto un faccenda di petrolio). La Libia è oggi un paese profondamente instabile (per ragioni endemiche), e non è un caso che una stabilità gliela abbia data nel recente passato soltanto l’uomo forte, quel Gheddafi, la cui “formula politica“  non era stata però affidata soltanto alla repressione, ma aveva soddisfatto alla necessità di ripartire i benefici tra tutti i capi locali.

 

La Giamahiria è durata oltre quarant’anni e con la fine di Gheddafi - sostenuta soprattutto dalla Francia di Sarkozy - il paese, si è frantumato, perché nessuna soluzione confacente era stata predisposta, ed è precipitato in uno stato confusionale, con sanguinosi scontri tra gruppi armati (si annoverano poco meno di 150 tribù e oltre 200 milizie).

 

In prosieguo di tempo si sono affermati almeno due governi: quello di Tobruk e quello di Tripoli, dove però esiste anche una sorta di governo islamista, i cui sostenitori proprio in questo settembre si sono ribellati per le solite questioni delle ripartizioni dei proventi pubblici. Sono così entrati in crisi i tentativi di Italia e Francia di trovare una sistemazione del paese: dopo gli accordi realizzati dal governo Gentiloni per le migrazioni, l’Italia sostiene l’organizzazione di una Conferenza internazionale per il prossimo dicembre, mentre la Francia vuole che si tengano elezioni a dicembre, secondo gli accordi promossi da  Macron lo scorso maggio a Parigi con Kalifa Haftar  (governo di Tobruk) e con Fayez al-Serraj  (Presidente del governo di Tripoli), rimasto in carica dopo la rivolta con il sostegno dell’ONU, ma in una situazione esautorata.

 

 È chiaro che siamo di fronte a una svolta, nella quale – con gli Stati Uniti di Trump attenti soltanto al problema dell’ISIS e del terrorismo e con l’Europa come al solito… distratta – le carte del gioco saranno distribuite da Vladimir Putin, che può contare non tanto sulle divisioni tra Italia e Francia quanto sugli ottimi rapporti sia con Haftar che con Salvini e che ha un interesse enorme a consolidare la sua posizione nel Mediterraneo, conquistata con la sistemazione della Siria, in termini che sono ben evidenti…

 

Altro esempio: la vicenda della nave Aquarius della SOS Méditerranée (ONG di Médecins sens Frontiéres) alla quale, come tutti sappiamo, lo scorso giugno era stato negato l’approdo nei porti italiani e poi quello nel porto più vicino che era quello di Marsiglia. Si era creata una situazione di tensione tra Francia e Italia per il destino degli oltre seicento migranti che erano a bordo della nave e che versavano in una situazione veramente invivibile Alla fine sono stati sistemati in vari paesi, e una telefonata ha riappacificato il premier Conte e il Presidente Macron.

 

Ovviamente due casi molto diversi tra loro, ma che dimostrano con tutta evidenza le difficoltà del Presidente francese, il quale adesso tenta di giocare una carta in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Si presenteranno partiti nazionali, ma il Presidente francese intende contestare l’attuale stato delle istituzioni al livello europeo e in particolare l’attuale metodo di scelta del Presidente della Commissione europea, cioè il sistema dello Spitzenkandidat, per cui i partiti prima delle elezioni indicano un candidato e sarà presidente della Commissione quello che poi otterrà i maggiori voti in Parlamento.

 

Una modo di procedere anomalo, che vincola una situazione futura a una passata, viene fatto osservare da quanti lo contestano. Ma Macron intende affrontare le elezioni europee del prossimo maggio facendo in Europa una battaglia politica come quella attuata nel 2017 nelle elezioni in Francia, con il suo movimento liberaldemocratico “En marche”, che ha convogliato elettori socialisti e popolari, dopo una campagna elettorale combattuta su progetti, programmi e valori: una vera battaglia politica condotta da un polo europeista contro il polo sovranista, che si sta organizzando.

 

Diciamo la verità, il primo dei rischi cui è esposta l’iniziativa del Presidente francese, riguarda proprio lui il suo progetto “europeo”, lanciato nel paese che della sovranità statale è stato la massima espressione (configurata anche architettonicamente in quel simbolo della “maestà” che è la reggia di Versailles).

 

Il rischio per Macron - che nei quindici mesi già trascorsi all’Eliseo ha marcato una presenza, sia pur non sfacciata né bellicosa, più “nazionale” che “europea” – è che il suo europeismo venga fagocitato dalle esigenze “nazionali” e comunque sia percepito in Europa come una variante più brillante dell’euroburocrazia, comunque non pericolosa….

 

Non quindi una possibile scelta di fondo per l’Europa di domani, anche se certamente il modesto sovranismo di Orban e di Salvini non sembra offrire prospettive più gloriose a Parigi, Londra o Berlino… Ma affrontare le elezioni europee  della prossima primavera in una condizione del genere non sarebbe certo entusiasmante!

 

Val la pena, comunque, di ricordare che nell’agosto di due anni fa Matteo Renzi, François Hollande e Angela Merkel si incontrarono a Ventotene per un omaggio alla tomba di Altiero Spinelli, che nell’isoletta scontò anni di confino, terminati nel 1943 con il crollo del fascismo. Spinelli temeva che dopo la vittoria degli alleati sarebbero stati ricostituiti gli stati nazionali, con rischi gravissimi per le democrazie europee; per questo auspicava una federazione europea.

 

Ma a Ventotene i tre governanti hanno parlato di Europa in relazione ai problemi delle migrazioni, del terrorismo, dell’austerità e della flessibilità nei conti pubblici… Problemi di grande rilievo per chi oggi ha la responsabilità di governare gli Stati dell’Unione europea. Ma le prospettive del futuro politico dell’Europa e dei paesi membri e le sorti di una liberaldemocrazia vitale in tempi di globalizzazione non sono state evocate… 

 

 


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