Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

12/10/24 ore

Il complottismo al tempo del Covid 19


  • Luigi O. Rintallo

Come tanti, in questi giorni abbiamo avuto modo di imbatterci in video o post su Internet che evocano la fabbricazione in laboratorio del virus che sta imperversando nel mondo. A seconda delle fonti – antiamericane o anticinesi – il virus sarebbe stato fabbricato per determinare tracolli economici funzionali alle speculazioni finanziarie (Controtv, di Mazzucco) oppure deriverebbe da loschi esperimenti in vista di future guerre batteriologiche (servizio di TGR Leonardo).

 

Tali ipotesi, per lo più, vengono confinate nella categoria del “complottismo dietrologico”, ma ciò non toglie che riescano a insinuarsi nei convincimenti diffusi e questo dà lo spunto per svolgere considerazioni ulteriori.

 

È facile spiegare il fenomeno con la necessità, durante circostanze come quella che stiamo vivendo, di individuare un capro espiatorio. Sul piano della psicologia sociale risponde a una domanda ricorrente delle persone che non accettano di essere preda della casualità quando accadono tragedie. Tuttavia, su un piano politico occorre approfondire qualche altro aspetto.

 

In primo luogo, va notato come esse si presentino nella veste di “verità” alternative e quindi si ammantano del ruolo di opposizione a un dominio, a un potere descritto sempre come portatore di interessi oscuri e contrari alla prosperità della gran parte della popolazione. In questa maniera accreditano i loro sostenitori quali “giustizieri del popolo”, quasi dei Robin Hood contro il pervicace disegno di oppressione portato avanti dai bersagli della loro polemica.

 

Così sfugge ai più la natura strumentale di letture della realtà che sono il frutto di stratificazioni ideologiche, piuttosto che analisi fondate sull’esame spassionato dei dati di fatto. Da questo punto di vista, il loro retroterra non è diverso da quello dei gruppi che animarono il terrorismo politico negli anni ’70. Oggi non ricorrono alla clandestinità e alle armi, ma risentono delle stesse influenze culturali e ideologiche.

 

D’altra parte, ciò non significa che queste letture antagoniste non possano esprimere anche frammenti veritieri. Soltanto che alimentare supposizioni inconsistenti risulta funzionale proprio alla programmata sottovalutazione di uno stato di cose dove, effettivamente, possono determinarsi derive autoritarie o trame di potere circoscritto alla volontà di pochi soggetti politici o economici. Anche sotto questo aspetto si riscontra una somiglianza con quanto accaduto negli anni di piombo.

 

Lo notiamo nell’atteggiamento della grande informazione, per lo più condizionata dai circoli imprenditoriali e finanziari. Da un lato la cosiddetta contro-informazione viene incastonata entro il recinto dell’attivismo complottista, ma dall’altro non è affatto oscurata come dimostra la sua ampia circolazione e la penetrazione presso ogni strato sociale. Nei suoi confronti si ripete il meccanismo adottato, per esempio, nei confronti dei proclami delle Brigate Rosse: squalificati come “deliranti”, non li si voleva rendere pubblici ma proprio questo serviva a dare loro rilevanza politica.

 

In questo modo, si è potuto “gestire” il terrorismo politico e usarlo come pretesto per giustificare scelte altrimenti improponibili. Proprio perciò i radicali, al tempo del rapimento del magistrato D’Urso, rovesciarono l’impostazione e diffusero i contenuti dei volantini di rivendicazione: da essi emergeva sì il “delirio”, ma anche l’assoluta inconsistenza del disegno rivoluzionario quale minaccia per lo Stato.

 

Oggi accade che, mentre ci lasciamo affascinare dal mito del virus costruito in laboratorio e scientemente propagato per mire inconfessabili del potere (sia la grande finanza o il totalitarismo), trascuriamo di prestare attenzione a circostanze di tutta evidenza. A cominciare dalla natura omertosa e reticente del regime dittatoriale cinese, che ha impedito a lungo la circolazione di informazioni sullo stato della malattia nello Stato asiatico.

 

Oppure i limiti di una informazione nostrana, che non ha nemmeno bisogno di un regime dispotico per abdicare ai suoi compiti specifici e ridursi a grancassa della propaganda di parte.

 

O ancora di prendere atto dello stato di degrado insostenibile del nostro apparato amministrativo e statale, che in queste ore drammatiche ha rivelato quanto sia di peso a trovare soluzioni adeguate. 

 

(immagine da Electo Radio)

 

 


Aggiungi commento