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21/11/24 ore

Giustizia. Tre episodi nel segno della restaurazione


  • Luigi O. Rintallo

Succede di rado che in una stessa giornata si concentrino tanti fatti che, tutti insieme, convergono a confermare una convinzione. La convinzione è che in Italia da tempo sia stata demolita perfino una pallida parvenza dello Stato di diritto, intesa come aderenza e rispetto a dei riferimenti comuni in termini di giurisdizione. Lacerazioni e strappi ripetuti hanno finito per ridurlo alla stregua dei pantaloni sbrindellati che vediamo indossare ai ragazzi che credono d’essere così “alternativi”

 

Tre notizie uscite sui giornali il 1° aprile sono ben rappresentative della situazione. La prima riguarda la decisione del governo di svolgere i referendum il 12 giugno, assieme al primo turno delle elezioni comunali.  Ciò risponde, in effetti, alla norma in vigore per la quale i referendum vanno tenuti entro il 15 giugno e, tuttavia, va osservato che stavolta non vi è stata deroga rispetto alla ordinanza che impone il voto in un giorno solo. Eppure a tale obbligo il governo ha in precedenza soprasseduto in nome dell’emergenza sanitaria, di fatto ancora presente visti l’aumento di contagi e il perdurare di restrizioni sino al 15 giugno.

 

Pertanto, è impossibile non rilevare come la decisione di concentrare nell’arco di quindici ore l’esercizio di voto non si giustifica tanto con l’applicazione delle norme, ma soddisfi piuttosto la sotterranea intenzione – ben radicata nelle oligarchie corporative – di ostacolare il manifestarsi di un antagonismo democratico nell’alveo istituzionale del voto referendario. Nel merito si potevano scegliere più opzioni, stante la volatilità di prescrizioni normative sottoposte più volte a deroghe in passato, ma si è favorita quella che riduce le opportunità di partecipazione

 

Il che non milita a favore della lealtà e della trasparenza di comportamenti da parte delle autorità, specialmente se si aggiungono le condizioni nelle quali verrà svolto il servizio di informazione sui temi oggetto della consultazione popolare nelle prossime dieci settimane. 

 

Ai cittadini sarà quanto mai complicato disporre degli adeguati strumenti per conoscere e quindi assumere una decisione consapevole, tanto più se dalle stesse istituzioni si fanno passare messaggi subliminali che vanno nel senso di far ritenere inutili i referendum sulla giustizia perché quest’ultima è prossima a essere riformata. Messaggi fuorvianti, dal momento che lo stesso ministro di Giustizia, Marta Cartabia, titolare degli interventi legislativi in merito al CSM, è ben consapevole di quali ritardi e difficoltà sta incontrando la sua azione in questa fase e, d’altra parte, tali interventi sono ben lontani dall’incidere nemmeno parzialmente sui problemi della nostra giustizia e sull’insieme dei temi referendari. 

 

Quanto quest’ultima patisca il distacco da un minimo di certezza del diritto è dimostrato da un’altra notizia apparsa venerdì scorso e che, per il diretto interessato, ha quasi l’aspetto beffardo di un “pesce d’aprile”. L’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, ha visto annullarsi dalla Cassazione la sentenza di Appello che l’assolveva dopo che in primo grado era stato invece condannato nel 2018 a dieci mesi per turbativa d’asta che lo aveva portato all'arresto p reventivo nel 2016. Nel 2021 il Tribunale di Appello di Milano aveva assolto Uggetti perché “il fatto non sussiste” e ciò aveva condotto a una riflessione sulle perversioni di certo colpevolismo, uso ad accanirsi nella cosiddetta gogna mediatica. 

 

Dopo il ricorso presentato dalla Procura generale, ora con la sentenza della Cassazione l’ex sindaco sarà nuovamente sottoposto a processo e tanto è bastato per scatenare nuovamente i giustizialisti, ai quali non è parso vero rinfacciare al pentastellato Luigi Di Maio l’inopportunità delle sue “scuse” per aver usato politicamente l’inchiesta a carico dell’allora sindaco PD di Lodi. Come ben si vede, siamo ben lontani dall’aver assimilato i principi basilari della convivenza civile e democratica. Ma questo si deve ancora una volta alla devastazione che ha colpito non solo il sistema giudiziario, ma la nostra stessa cultura giuridica dove non ha più cittadinanza la presunzione di non colpevolezza sancita dalla Costituzione. 

 

Altrettanto trascurato risulta il valore della uguaglianza di trattamento di fronte alla legge se consideiamo la terza notizia di questo inizio d’aprile e che proviene dalla procura di Perugia. Dopo la pubblicazione in un articolo di Filippo Facci dell’estratto di un verbale di interrogatorio dell’imprenditore Fabrizio Centofanti, il procuratore Raffaele Cantone ha rilasciato un comunicato dove si legge quanto segue: “Questa mattina il quotidiano «Libero» ha pubblicato un articolo in cui erano riportati stralci di dichiarazioni rese da Fabrizio Centofanti in data 31 marzo 2021 a questo ufficio, pubblicando anche la foto della prima pagina del relativo verbale. Siccome non risulta  che copia del verbale sia mai stata rilasciata ad alcuno, si è ritenuto necessario iscrivere un fascicolo contro ignoti per rivelazione di notizie riservate per accertare se l'atto sia giunto legittimamente alla stampa”.

 

Nel verbale in questione, Fabrizio Centofanti riferiva di aver affidato a nome della società Acqua Marcia di Caltagirone una proficua consulenza a Giuseppe Conte, raccomandatogli da Pietro Amara nell’ambito delle relazioni intercorse all’interno del gruppo di professionisti e magistrati denominato Loggia Ungheria.

 

Del fatto in questione aveva già dato notizia il quotidiano «Domani» nell’aprile dello scorso anno. Ora, meritoriamente, il procuratore Cantone ha deciso di aprire un’indagine su come il verbale reso al suo ufficio sia pervenuto alla stampa. Non serve nemmeno rilevare che altrettanto non è accaduto in una infinità di occasioni in passato, ma è interessante notare alcuni particolari del comunicato della procura perugina. 

 

Per esempio è abbastanza singolare che prima si affermi che alla Procura non “risulta” che sia stata mai rilasciata copia ad alcuno e poi si intenda indagare contro ignoti: è evidente che gli “ignoti” sono facilmente circoscrivibili all’interno dell’ufficio giudiziario. Se non vogliamo definire il comunicato un concentrato di potenziale confusione in chi legge, di sicuro si deve ammettere che si esercita in un contorsionismo logico. Riscontrabile anche nella conclusione, laddove  informa di voler “accertare se l'atto sia giunto legittimamente alla stampa” senza nemmeno ipotizzare prima un reato, preferendo limitarsi sulla soglia dell’annuncio dell’apertura di un fascicolo contro ignoti.

 

In comune i tre fatti hanno la caratteristica di essere rivelatori di un atteggiamento nel segno della restaurazione. L’avversione al coinvolgimento democratico, tipico delle nostre élites dominanti, si unisce ad un arroccamento a difesa di condizioni esclusive tutto a svantaggio del diritto dei cittadini di essere davvero garantiti.

 

 


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