Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

11/10/24 ore

Verso i referendum sulla Giustizia. L’indifendibile trincea dell’ANM a tutela di uno status a-costituzionale


  • Luigi O. Rintallo

Nell’intervista rilasciata a Paolo Rodari per «la Repubblica» l’8 aprile, il presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia ha incentrato le sue critiche alle proposte avanzate dal ministro Marta Cartabia sul rischio che esse possano torcere in senso anti-costituzionale il ruolo dei magistrati in Italia.

 

È un’accusa grave che va nel senso di una completa chiusura verso ogni ipotesi di riforma: se qualunque modifica delle procedure relative all’elezione dei membri del CSM o dei sistemi di valutazione è descritta come eversiva rispetto alla Costituzione, si esclude a priori ogni disponibilità perfino a discutere di riforme della giustizia.

 

Allorquando si marchia in questo modo il possibile intervento legislativo del Parlamento, gli si assegna la parte del vilain con il quale è impossibile relazionarsi dal momento che è doveroso solo bloccarlo e neutralizzarlo.

 

Che ciò possa avvenire anche dopo i ripetuti richiami da parte dei vertici delle nostre istituzioni, conferma quanto radicata sia negli organi di rappresentanza dei magistrati la volontà di preservare uno status quo evidentemente irrinunciabile. Anche se esso contrasta senza rimedio con le esigenze e il riscontro oggettivo della società italiana nel suo complesso.

 

D’altronde pure nel merito le considerazioni del presidente dell’ANM si allontanano dai dati di fatto. Ritenere che un diverso modo di eleggere i membri togati nel CSM o di realizzare forme di controllo sulla qualità del lavoro svolto significhi riportare “la magistratura al periodo pre-costituzionale”, non tiene conto che in realtà, ad essere il risultato di un discostamento dalle prerogative costituzionali, sono proprio le degenerazioni intervenute nel senso di un incontrollato esercizio del potere di indagine oppure gli automatismi introdotti nell’avanzamento di carriera.

 

Aspetti questi ultimi da tempo evidenziati sul piano della dottrina giuridica, tant’è che il giurista Carlo Guarnieri ne faceva oggetto di critica nella voce “Magistratura” sull’Enciclopedia Treccani redatta oltre venticinque anni fa.

 

In questo senso le riforme che richiede la giustizia italiana vanno piuttosto nel senso di ricondurla entro l’alveo costituzionale. La mutazione del CSM in una sorta di “terza Camera”, con l’assunzione di compiti impropri quali la censura verso altri soggetti delle istituzioni o il suo obiettivo sottrarsi alle specifiche incombenze di controllo sull’operato svolto dai magistrati, come dimostrano i ridottissimi casi di sanzioni comminate, è solo uno dei casi più evidenti di deviazione dall’originario indirizzo dettato dalla Costituzione del 1948.

 

E lo stesso vale per altre “correzioni” di rotta apportate nel corso degli ultimi decenni, che hanno riguardato la demolizione dell’ordine gerarchico nelle procure o l’esercizio dell’obbligatorietà dell’azione penale del tutto svincolato da ogni controllo di merito interno agli uffici giudiziari, con tutte le conseguenze che investono tanto le prescrizioni di fatto, quanto il privilegiare o meno il perseguimento di certi reati anziché altri.

 

Una controprova proviene anche dai referendum radicali che saranno votati il prossimo 12 giugno. Le norme di cui richiedono l’abolizione sono per lo più riferite a testi emanati in anni recenti, che hanno per l’appunto modificato l’impianto legislativo che ordinava secondo il dettato originario le disposizioni relative all’ordine giudiziario. O che hanno introdotto inedite distorsioni dei principi costituzionali, quali ad esempio quello relativo alla presunzione di non colpevolezza, com’è il caso della legge Severino o la custodia cautelare.

 

I referendum vanno pertanto letti proprio nella chiave di una via per riportare sui binari dello Stato di diritto l’amministrazione della giustizia in Italia, anche se il sistema informativo per assenza di deontologia professionale e forse anche per paura, fa di tutto per affossarli, lavorando per il loro fallimento… 

 

 


Aggiungi commento