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12/10/24 ore

Ustica, a chi serve ancora rimestare in questo modo?


  • Luigi O. Rintallo

 

Cinque (e non quaranta) anni dopo la strage di Ustica, un piccolo quotidiano (e non uno dei giornali promotori dell’anti-politica suggerita dai loro editori magnati della finanza) realizzò uno scoop, svelando i contenuti delle comunicazioni intercorse tra i controllori di volo dell’Aeronautica che smentivano la versione ufficiale sulla sorte del velivolo Itavia.

 

Nell’estate del 1985 «Reporter» – la nuova testata diretta da Enrico Deaglio in edicola per soli 14 mesi col sostegno del PSI e con firme come Toni Capuozzo, Giuliano Ferrara, Giampiero Mughini e Adriano Sofri – pubblicò i verbali delle torri di controllo del 27 giugno 1980, dai quali emergeva che nella sera di quel tragico venerdì il volo IH870 Bologna-Palermo era precipitato perché colpito e non per un incidente, come gli altri due aerei schiantatisi nel 1972 e nel 1978 prima dell’atterraggio a Punta Raisi.

 

 

Negli scambi di frasi tra gli addetti risultava, inoltre, l’evidenza dell’intento di evitare la divulgazione di quanto avvenuto all’aereo sopra il Tirreno tra Ponza e Ustica.  Chi oggi navighi sui siti Internet è ben difficile che trovi citata l’inchiesta di «Reporter». Una visita alla pagina Wikipedia dedicata alla “strage di Ustica” ce lo mostra: vi leggiamo un resoconto lungo e dettagliato, che contempla tutte le ipotesi e descrive sia i numerosi interrogativi (dalle morti sospette di militari coinvolti alla destituzione del maresciallo Ciancarella a opera di un decreto con firma falsa del presidente Pertini), sia la complessa vicenda processuale. Per lo più sono riportati riferimenti a testate come «la Repubblica» o il «Corriere della Sera», senza alcun rimando all’inchiesta del 1985 di «Reporter».

 

Il fatto non si spiega soltanto con la breve vita del quotidiano, ma rivela anche quanto possa essere “indirizzata” l’informazione tramite accorte e opportune cancellazioni, purtroppo favorite dalle modalità dell’informazione digitale del web.

 

È significativo che questa patina obliante interessi soprattutto quegli anni ’80 così indigesti per i maggiori protagonisti dell’odierno circuito informativo, a causa forse dell’alternativa politica che essi profilarono e lasciarono brevemente intravedere. L’abbiamo vista calare anche in altri casi, come ad esempio nella rievocazione fatta dalla RAI del leader radicale Marco Pannella.

 

 

Una uguale propensione manipolatoria è riscontrabile pure nel confezionamento dell’intervista di Simonetta Fiori a Giuliano Amato per «la Repubblica», dedicata per l’appunto alla strage di Ustica.

 

Pur non dichiarando alcuna vera novità sul caso, l’intervista ha tuttavia piazzato due pseudo-rivelazioni altrettanto sgradevoli dei ricci nel fondo dei pantaloni, con la caratteristica comune di discostarsi dalla realtà dei fatti.

 

Innanzi tutto, nel riproporre la versione sul lancio del missile da parte dei Francesi con l’intento di colpire il MIG libico dove avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi, evocata in una testimonianza del dicembre 2008 da Cossiga, Amato ha insistito nello smentire l’ex Capo dello Stato relativamente al fatto che il direttore del SISMI – l’ammiraglio Fulvio Martini – gli aveva mai riferito tale dato, sostenendo che di ciò si era convinto autonomamente a prescindere dalle conclusioni delle commissioni al riguardo rimaste aperte a più ipotesi.

 

Al contrario, nell’intervista afferma anzi che Fulvio Martini “era uno di quei generali che venivano a trovarmi con assiduità per convincermi della bomba a bordo”, ma a questo punto come spiegare che a Cossiga la rivelazione l’abbia fatta proprio l’ex direttore del SISMI? Perché a Cossiga rivelò quello che invece ad Amato teneva nascosto?

 

La seconda, stridente considerazione di Amato nell’intervista a «la Repubblica» riguarderebbe il ruolo rivestito da Bettino Craxi nella vicenda. In contraddizione con quanto sostenuto in precedenza a proposito dei vertici militari, che avrebbero tenuto all’oscuro i politici dei Piani NATO, Amato dichiara di aver “saputo più tardi – ma senza averne prova - che era stato Bettino ad avvertire Gheddafi del pericolo nei cieli italiani”, descrivendo così il leader socialista come un torbido mestatore nient’affatto interessato a scoprire la verità su Ustica perché ciò poteva danneggiarlo politicamente.

 

Si dà il caso che nel 1980 Craxi era tutt'altro che nelle condizioni di disporre di informazioni così riservate (mai ministro, in minoranza e da pochi anni segretario in condominio con Signorile). La figlia di Craxi, Stefania, ha sdegnosamente respinto la ricostruzione proposta dal giornale di Largo Fochetti: “Giuliano Amato sceglie a distanza di 40 anni di compiere un falso storico.  È vero che Craxi avvertì Gheddafi di un attentato del Dipartimento di Stato americano salvandogli la vita, ma era sul suolo libico ed era l’86. In quanto a Ustica, né Craxi né l’allora ministro della Difesa Lagorio seppero nulla”.

 

Del resto, dopo l’intervista, lo stesso Giuliano Amato – lamentando che dei titoli con cui un’intervista viene presentata, non risponde l’intervistato – ha così precisato: “Purtroppo non ricordo chi mi disse che era stato Craxi a informare Gheddafi… Su chi informò Gheddafi è ben possibile che ci sia stata confusione di date fra l’86 e l’80, quando, secondo Luigi Zanda (ex portavoce di Cossiga; ndr.) oggi, furono i servizi. Onestamente non riesco a dire se la confusione l’ho fatta io o se l’ha fatta chi mi parlò di Craxi come informatore di Gheddafi”.

 

La domanda inevasa è adesso: perché una paginata di intervista su Ustica, senza che alcuna circostanza o nuova scoperta si siano presentate? A cosa serve un titolo come “Macron chieda scusa”, rivolto all’attuale presidente francese? Non c’è bisogno di fare tante dietrologie, per individuare i caratteri di una raffazzonata provocazione non certo degna del dottor Sottile, secondo la definizione di Amato del fondatore Eugenio Scalfari.

 

Forse tornerebbe più utile l’altro epiteto attribuitogli da Craxi di “professionista a contratto”. Il punto è sapere a quale contratto - ovviamente se c’è - potremmo riferirci in questo caso… 

 

 


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