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24/11/24 ore

Mali, la sharia e i rischi di un nuovo Afghanistan


  • Federica Matteucci

Mentre il governo ad interim è impegnato a combattere contro i soldati che hanno rovesciato l’amministrazione precedente, la situazione nel nord del Mali non dà segnali di miglioramento. Come riferisce la Bbc, gruppi militanti islamici si sarebbero, infatti, appropriati della ribellione dei Tuareg, approfittandosi del golpe e imponendo la sharia nella maggior parte delle città del nord.

 

La musica è stata bandita dalle radio locali, le donne rischiano di essere picchiate, mentre alcune persone sono state frustrate, per aver violato la legge. Vicino a Timbuktu, parte della vasta area del paese controllata da gruppi islamici, alcuni giovani si sono riversati in strada armati con dei machete aderendo alla protesta contro il controllo dei ribelli.

 

L’ultima protesta, riporta il Guardian, è divampata nella città di Goundam, dove un gruppo islamico, Ansar Dine, pare abbia picchiato una donna che non ha coperto il capo alla sua bambina. Halle Ousmane Cisse, il sindaco di Timbuktu – dove da alcuni giorni pare manchino energia, benzina e scorte di cibo – ha denunciato una situazione disperata.

 

L’intera economia locale è andata - ha affermato - non c’è più commercio, né banche. I servizi amministrativi sono inesistenti: gli islamici hanno saccheggiato tutto. Timbuktu ora è una città fantasma”. I militanti islamici di Ansar Dine e al-Qaeda avrebbero distrutto anche tombe e mausolei. Intanto l’esercito malese e il governo ad interim sembra stiano conducendo trattative con il blocco regionale Ecowas circa un intervento militare volto a recuperare il nord del paese.

 

Proprio ieri, infatti, il premier malese Cheick Modibo Diarra ha manifestato le sue intenzioni di riconquistare l’area nord occupata dagli islamisti, annunciando l’apertura di “consultazioni nazionali” per un governo di unità. “Non possiamo cucinare una frittata senza rompere le uova” ha detto il sindaco di Timbuktu; “pagheremo a caro prezzo i bombardamenti”, ma “non possiamo più sopportare quest’oppressione”.


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