Quasi cinquanta morti in un giorno, questo il bilancio di sangue che l’Egitto paga in un giorno a tre anni dall’inizio di quel cammino che prospettava un nuovo e libero stato democratico dopo la sconfitta dal basso della dittatura.
Non si contano più le volte in cui in questi tre anni abbiamo letto di un Egitto sull’orlo di una guerra civile, di golpe, di rischio per la democrazia sono oggi questi 50 morti, 250 feriti e più di mille arresti a urlare alle orecchie del mondo il dato di fatto che l’Egitto non ne è venuto fuori e che lo stesso quadro internazionale non è stato all’altezza delle prospettive che le primavere arabe, pur tra mille contraddizioni, avevano creato gestendo malissimo le possibilità che erano pur visibili in quella fase.
Dopo la cacciata dell’ex presidente Morsi ad opera dell’esercito all’inizio del luglio scorso, le successive rappresaglie e la messa al bando della fratellanza musulmana, il presidente ad interim Adly Mansour ha guidato il paese all’approvazione della nuova costituzione egiziana.
Lo stesso Mansour ha dichiarato una modifica nell’ordine delle tappe che l’esercito aveva stabilito dopo la deposizione di Morsi: le elezioni presidenziali precederanno le legislative e si terranno probabilmente ad aprile.
Oggi, di fronte a questa escalation di violenza, all’instabilità crescente ed al proliferare di cellule terroristiche l’apprezzamento da parte dell’opinione pubblica pare rivolto al ministro della difesa Abdel Fattah al-Sisi che della deposizione di Morsi è stato l’artefice.
Questo lungo e logorante percorso è costato la vita a più di mille persone dal luglio scorso e non è ben chiaro se il generale, ministro della difesa e probabile candidato premier vincente delle elezioni presidenziali rappresenterà effettivamente un passo avanti per la democratizzazione del paese o un’involuzione di tipo autoritario.
Intanto gruppi di ispirazione quaedista attaccano anche l’esercito e nel Sinai abbiamo già avuto un imboscata ad un veicolo militare e l’abbattimento di un elicottero; una situazione palesemente drammatica che lascia la sensazione di un futuro rischioso ed incerto in cui, al di là di tutto, la “gestione” americana e l’assenza europea hanno sicuramente delle pesanti responsabilità. (R.G.)
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