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23/12/24 ore

La Libia non trova pace dopo Gheddafi


  • Francesca Pisano

Ancora provvisorio è il bilancio di 79 morti e 140 feriti, in una Libia percorsa dai solchi di nuovi scontri, tra l’esercito paramilitare guidato dall’ex generale in pensione Khalifa Haftar e le milizie integraliste islamiche. La guerriglia prosegue da tre giorni ed è culminata in un attacco nei confronti del Parlamento che ha provocato la fuga dei deputati. 

 

L’obiettivo ufficiale delle milizie del generale – come dichiarato dal suo portavoce - “sono gli islamisti che proteggono le milizie estremiste che stanno affliggendo la nazione”. C'è chi, invece, prende in considerazione altre ipotesi, come quella secondo cui l’obiettivo dell’ex generale sia partire da Bengasi per raggiungere il pieno potere nel Paese, attraverso un colpo di stato. Altri vedono in lui il leader che riuscirà a sbaragliare definitivamente le spinte jihadiste e fondamentaliste, raggiungendo così un risultato che finora si è rivelato impossibile per il governo di Tripoli.

 

Ma a definirlo un attacco “al di fuori della legittimità dello Stato” e, dunque, a gridare al golpe sono stati proprio governo, parlamento ed esercito in un comunicato congiunto. Inoltre, le autorità del Paese hanno fissato il divieto per i velivoli di Hifter di sorvolare la città di Bengasi e le sue periferie, altrimenti verranno abbattuti. La città appartiene all’area orientale della Cirenaica che è stata culla di quelle ribellioni che, sospinte dal vento della Primavera araba, hanno portato nel 2011 alla guerra civile e poi alla caduta del regime di Gheddafi, dopo 43 anni di potere. Anche lui, Khalifa Haftar, aveva lottato tre anni fa contro il Rais; oggi dice di muoversi in maniera autonoma, mentre ha già dalla sua parte dotazioni di armi governative e uomini delle forze regolari dell’esercito di Tripoli.

 

E’ sempre più denso il caos che pervade tutt’oggi la Libia, una condizione che tormenta il Paese sin dalla Dichiarazione di Liberazione dell’ottobre 2011, emanata dopo la fine del regime. Persistono i conflitti fra il partito conservatore dell’Alleanza delle forze nazionali - che è al governo con il primo ministro Ali Zeidan - e le diverse spinte rivoluzionarie esistenti. Ciascuna parte poi è ulteriormente frammentata e divisa al suo interno. Proprio ciò ha determinato pochi mesi fa il naufragio delle elezioni per la formazione della Commissione che avrebbe dovuto lavorare al testo della nuova Costituzione.

 

La tensione nel Paese si manifesta quotidianamente in scontri che calpestano i civili, le statistiche parlano di due vittime al giorno per attentati. Inoltre è sempre più diffusa la pratica dei sequestri di persone benestanti o di chi svolge funzioni pubbliche,per fini lucrativi, da parte di estremisti islamici o bande di ex ribelli. Lo stesso primo ministro Ali Zeidan è stato lo scorso anno vittima di un sequestro lampo.

 

In questo clima sembra difficile poter credere in un esito risolutivo del prossimo referendum popolare di luglio per la Costituzione o nelle seguenti elezioni politiche. Il rischio cui si va incontro è quello dello stabilizzarsi dell’impasse esistente, con il proliferare di conflitti nel cuore del Nord Africa e a sud del Sahara.

 

L’Europa è a un passo da qui e fra le conseguenze sempre più allarmanti che la riguardano c’è l’emergenza migranti; il caos stagnante in Libia non fa altro che peggiorare, per quanto attiene alla sfera dei diritti umani, la condizione delle persone che si imbarcano da questo Paese. Non vi sono garanzie sul loro trattamento e ciò è estremamente grave, considerando che il 93% dei flussi via mare attraversa proprio la Libia.

 

A questa situazione va aggiunto che non sono stati conclusi con le autorità di Tripoli accordi di riammissione per le popolazioni migranti. Anzi nei giorni scorsi sono state avanzate delle minacce da parte del ministro degli interni, Salah Mazek, che ha fatto sapere che avrebbe favorito l’afflusso di clandestini in Europa se questa non si fosse impegnata nel trovare delle soluzioni efficaci all’emergenza, anche se poi quasi subito le autorità di Tripoli sono tornate sui loro passi, comunicando invece la volontà di collaborare sia con l’Italia che con il resto dell’UE.

 

La crisi politica e la mancanza di sicurezza hanno un riverbero anche sulla produzione energetica della Libia, che nell’ultimo anno in particolare ha subito un calo anche a causa del blocco di pozzi e di porti da parte delle milizie. Lo sfruttamento del petrolio e degli idrocarburi rappresenta la maggiore attività per la ricchezza del Paese, dalla quale derivano le più ingenti entrate. L’Italia dipende da quelle risorse per il 23% sul greggio e per il 13% sul gas eil peso di questo legame diventa tanto più indispensabile, quanto più la situazione ancora critica in Ucraina fa temere per i rapporti con la Grande Madre Russia.


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