
La questione della Turchia assume ogni giorno di più contorni inquietanti. Dire che gli spazi di libertà sotto l’azione del “sultano” Erdoğan si restringono significa usare un eufemismo. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a veri e propri rastrellamenti di centinaia di migliaia di persone, di arresti di giornalisti, di magistrati, di accademici, di poliziotti, di membri dell’esercito, di studenti, di sindacalisti, di intellettuali, di donne e di uomini che rappresentavano in molti casi la Turchia moderna che Mustafa Kemal Atatürk aveva disegnato e voluto, laica e con libertà religiosa.
Sono lontani i tempi in cui l’ingresso della Turchia in Europa sembrava un processo in atto, difficile ma necessario, determinate per tutti.
La ritrosia della Ue, in particolare di Francia e Germania, ci consegna uno Stato oramai in balia di una islamizzazione strumentalmente costruita dal despota Erdoğan, con contraddizioni drammatiche e rischiosissime, considerando che la Turchia è nella Nato, che gli accordi tra Bruxelles e Ankara sugli immigrati (le cui condizioni sono disperate nonostante i lauti guadagni di cui si è giovato il dittatore) ci spingono, sempre per le debolezze europee sulla questione, a un ipocrita negazione delle cose.
Per quanto riguarda l’Italia, il caso di Gabriele Del Grande (per fortuna conclusosi con il ritorno del giornalista-registra-scrittore senza danni fisici per lo stesso) non può far ignorare che il risultato diplomatico non può nascondere il drammatico scenario che è davanti agli occhi di tutti.
Le ultime ora, oltre a valanghe di nuovi arresti, ci dicono di ulteriori atti di autoritarismo. Secondo Turkey Blocks, un’associazione che tiene traccia di sospensioni e oscuramenti online decisi dal governo turco, Wikipedia è inaccessibile dalle 8 locali, le 7 italiane. Nella tarda mattinata – come ci dice Il Post - l’autorità turca ha confermato di avere bloccato tutte le edizioni dell’enciclopedia, dicendo di aver preso una “misura amministrativa” sulla base della legge 5651 del 2007.
È quasi inutile dire che il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha chiuso e oscurato quasi tutti i siti che si esprimevano contro il suo satrapismo e che – come ci ricorda ancora Il Post - Turkey Blocks spiega che il divieto dovrà essere confermato da un tribunale, ma non è chiaro quando il caso di Wikipedia verrà esaminato.
Tutti gli stati con caratteri autoritari hanno fatto e fanno ricorso a questi metodi (si pensi a Russia, Cina, Iran, per fare qualche esempio), ma la domanda resta: cosa pensa di fare l’Europa, proseguire nella sua strada di ignorare lo stato delle cose e di restare impassibile di fronte al radicalizzarsi della situazione (che avrà inevitabili conseguenze proprio su se stessa) o provare a percorrere – questa volta in modo unitario – un’azione che sia politicamente produttiva.
Aver perso il treno di un ingresso della Turchia nella Ue, che avrebbe consentito una diversa articolazione della questione e un diverso influenzamento a difesa del diritto dei cittadini turchi e degli interessi della comunità europea, è un danno enorme. Restare silenti ora sarebbe un autentico atto di cecità e per taluni responsabili di cinismo. (red)
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