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19/04/24 ore

Curdi e catalani: l’immagine della Spagna riflessa nello specchio turco


  • Enrico Rufi

Per restituire al mittente le critiche europee alla politica repressiva nel Kurdistan turco – per esempio la recente destituzione di tre sindaci curdi del l’HDP, il Partito Democratico dei Popoli - il ministro dell'Interno turco Suleyman Soylu ha argomentato così: noi facciamo con i curdi né più né meno di quello che la Spagna fa con i catalani, con la sola differenza che la Spagna ha tutta la comprensione e tutto il sostegno dell’Unione europea. Non solo. I dodici accusati e processati per attentato all’ordine costituzionale, sedizione e ribellione sono nonviolenti, mentre i curdi nonviolenti non sono.

 

E perché mai dovremmo liberare, come pretende la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il deputado Selahattin Demirtaş da due anni in carcere preventivo nelle galere turche, se Oriol Junqueras, anche lui in attesa di giudizio, continua ad essere ospite delle carceri spagnole pur essendo stato eletto deputato europeo quattro mesi fa?

 

Per cercare di raddrizzare l’immagine e la percezione che all’estero si ha della Spagna impegnata nella repressione del nazionalismo catalano, il governo ha pensato bene di utilizzare le ambasciate e le varie sedi europee dell’Istituto Cervantes per lanciare una campagna di promozione della democrazia spagnola alla vigilia della sentenza del Tribunal Supremo. L’iniziativa propagandistica, nell’ambito del progetto España Global, si chiama «La democracia se toca», e prevede la proiezione di quattro video in cui personalità spagnole esaltano le eccellenze spagnole in vari campi, dalla scienza al femminismo, dalla tecnologia alla cultura. 


L’obiettivo è far dimenticare tutti quei video che hanno fatto il giro del mondo due anni fa, e che continuano a girare, e che documentano le violenze della polizia sugli inermi elettori catalani. Intanto il ministero degli Esteri ha prodotto una pubblicazione di settanta pagine in varie lingue nella speranza di arginare l’ondata di simpatia di cui continua a godere la causa catalana in Europa e non solo.

 

Tutti soldi buttati, probabilmente, e non solo perché i catalani sanno comunicare molto meglio con le opinioni pubbliche europee. È dell’altro giorno la notizia che la magistratura tedesca - la Procura Generale Federale - ha deciso di occuparsi del più attivo apologeta e propagandista dello Stato spagnolo uno e indivisibile, il socialista Josep Borrell, neo ministro degli Esteri della Commissione europea, per accertare se gli va imputato il reato di spionaggio per cui è stato denunciato dalla delegata del governo catalano a Berlino, Marie Kapretz.


L’operazione simpatia lanciata dal governo spagnolo dovrà mettere una toppa pure alle antipatie che Borrell, insieme a Sánchez & co. si sono nel frattempo attirati pure alla Camera dei Comuni a Londra, dove il deputato gallese William Hywell del Playd Cimru gr, il Partito del Galles, ha denunciato, fra l’indignazione dei colleghi presenti, che il Ministero degli Esteri spagnolo (a guida Borrell) aveva raccolto informazioni sui deputati dell’intergruppo britannico per la Catalogna, compresa la presidente del parlamento gallese, compreso il Primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, e perfino lo speaker dei Comuni John Bercow, recentemente dimessosi., Scozia. 

 

Né è servito a recuperare un po’ di simpatie in Belgio la decisione presa il mese scorso dalla magistratura belga di continuare ad indagare sulle cimici collocate a febbraio dell’anno scorso nella macchina di Carles Puigdemont dai servizi spagnoli.

 

L’ex presidente della Generalitat ha assestato l’altro giorno un altro colpo all’immagine dello Stato spagnolo, andando al contrattacco dopo i recenti arresti di nove militanti indipendentisti della componente di base del separatismo, i CDR, Comitès de Defensa de la República, già Comitès de Defensa del Referèndum, accusati di preparare sabotaggi con materiale potenzialmente esplosivo. Nell'ordinanza del giudice dell'Audiecia Nacional viene tirata in ballo la sorella di Puigdemont per un suo presunto incontro con gli arrestati, ma la sua smentita è stata categorica.


Ha colto la palla al balzo l'ex presidente della Generalitat per rivendicare il carattere rigorosamente nonviolento del procés, cioè il divorzio dallo Stato spagnolo, e per denunciare la strategia di criminalizzazione del movimento indipendentista, riesumando, in uno spirito poco in sintonia con la campagna per il buon nome della Spagna, una delle pagine più torbide del Paese, il terrorismo di Stato dei GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación), squadroni della morte parastatali che causarono almeno trentaquattro morti e una cinquantina di feriti, senza contare sequestri e torture, tra il 1983 e il 1987, durante i governi del socialista Felipe Gonzales.


Rivolgendosi al paladino dell’immagine di una Spagna linda, il socialista Pedro Sánchez, Puigdemont ha detto scandendo bene le parole: «El Govern de Catalunya mai tindrà cap senyor X d’una banda armada com els GAL».


Vale a dire che il governo catalano mai rischierà di veder condannato a dieci anni di carcere per terrorismo un suo ministro dell’interno, come accadde a José Barrionuevo, dello stesso identico partito di Gonzales e Sánchez.

 

 


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