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22/11/24 ore

Riduzione parlamentari. Caro Arditti, non basta l’astuzia dialettica…


  • Luigi O. Rintallo

Puntuale come il solleone di agosto è piombata sulla ribalta mediatica la notizia che dei parlamentari hanno ottenuto il bonus delle partite IVA, previsto per fronteggiare la crisi causata dall’epidemia del virus cinese.

 

Lo scandalo, a dire il vero, riguarda non solo gli interessati ma lo stesso governo e l’ente erogatore, l’Inps, i quali infatti hanno messo le mani avanti giustificando con l’urgenza di distribuire aiuti l’assenza di limitazioni o soglie di reddito. Fra l’altro omettendo che per i lavoratori dello spettacolo esse erano invece previste e quindi poco si comprende come mai non ci siano per gli altri liberi professionisti.

 

Il dato – già da tempo noto all’Inps, tenuto conto che le richieste risalgono a molte settimane addietro – è stato scodellato nelle settimane di campagna referendaria sulla riduzione del numero di senatori e deputati e dimostra, una volta di più, la spregiudicatezza con la quale si interpreta oggi la lotta politica, a tutto discapito della limpidezza del confronto attento e informato nel merito. 

 

Che lo faccia Luigi Di Maio, già ministro del Lavoro e sponsor della nomina di Pasquale Tridico a capo dell’Inps, non meraviglia molto, sebbene sarebbe consigliabile all’esponente grillino di non abusare troppo con queste pratiche che rischiano anche di ritorcersi contro, poiché è facile precipitare nella spirale delle notizie strumentali e nulla vieta che ne potrebbero sbucare di controproducenti da altri versanti. 

 

Oggi il comportamento di questi eletti serve a montare nuovamente il can can antiparlamentare, ma quest’ultimo poggia su logiche francamente debolissime: attaccare il Parlamento per questo, sarebbe come auspicare il ridimensionamento dei carabinieri a causa dei casi di corruzione e abusi che hanno riguardato diversi di loro. 

 

Sorprende di più che a cavalcare una notizia del genere sia persona altrimenti avvertita come Roberto Arditti, il quale la richiama a conclusione di un suo pezzo sul referendum uscito su Formiche.net: “ringrazio quei … parlamentari… Ragionando sul loro gesto verrebbe da dire che ridurre ‘solo’ di un terzo gli eletti di Camera e Senato è troppo poco”.

 

D’altro canto, l’articolo merita di essere considerato nel dettaglio perché rappresenta un esempio di come, con astuzia dialettica, si riesca da un lato a riportare verità parziali e, dall’altro, a far perdere di vista l’essenziale della posta in gioco nel prossimo referendum costituzionale.

 

Roberto Arditti dà mostra di prestare ascolto alle motivazioni di chi si oppone alla riduzione, ma è ben attento a citare quelli che ne sono i corollari trascurando la tesi portante. Si riferisce cioè all’osservazione che il Parlamento ridotto funzionerebbe peggio e che escluderebbe ampie porzioni di territori dalla rappresentanza.

 

Una volta compiuta questa lettura riduttiva delle obiezioni avanzate dai sostenitori del NO, Arditti si sofferma sui tre motivi per i quali – a suo avviso – il Parlamento è venuto meno al suo ruolo e li individua nella sostituzione di governatori e sindaci quali rappresentanti delle esigenze del territorio; nella dissoluzione dei partiti, con la conseguente perdita di rappresentatività dei singoli eletti ora frequentemente portati a cambiar casacca per convenienza; nello sviluppo tecnologico che consentirebbe di soprassedere dalla necessità di un contatto più diretto con gli elettori e quindi gioca a favore della riduzione di numero.

 

Considerazioni dotate pure di fondamento, ma che non convincono poiché la rappresentanza affidata ai presidenti di Regione e ai Sindaci è però privata della capacità decisionale, propria di un organismo che è il solo in grado di assumere un ruolo di indirizzo della politica nazionale. Inoltre, non è la labilità del legame coi partiti a sminuire la funzione dei parlamentari, ma semmai il contrario e cioè il fatto che essi troppe volte si riducono ad essere emanazioni dei “gigli magici” di partiti leaderistici a causa delle leggi elettorali che hanno sottratto agli elettori la facoltà di compiere scelte.

 

Del tutto illusorio e privo del benché minimo riscontro fattuale l’euforico entusiasmo per le potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico, sul piano della registrazione dei bisogni effettivi della popolazione.

 

In questo modo, Arditti aggira e omette la contestazione di fondo: la modifica voluta dai 5Stelle va respinta perché destabilizzante dell’intero edificio costituzionale in quanto interviene solo sulla composizione del Parlamento senza interessare altri soggetti costituzionali né le loro funzioni (compreso il Quirinale!), predisponendo così le condizioni per uno squilibrio dei poteri che porta a soprassedere dalla legittimazione popolare propria di ogni democrazia.

 

Per di più, Arditti evita di inquadrarla entro la filiera di azioni che dal 1991 in avanti hanno ridotto nell’angolo la politica rispetto alle oligarchie economico-finanziarie e al sistema delle corporazioni. 

 

Con la riduzione dei parlamentari si segna un’altra tappa del percorso volto a fare dell’Italia un laboratorio unico di quella che oggi taluni definiscono “democratura”, ma che più prosaicamente confermerebbe la nostra definizione radicale di “democrazia fittizia” per indicare la metamorfosi in atto da tempo della nostra Repubblica.

 

 


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