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22/11/24 ore

Il disegno restaurativo del PD dietro la scelta sul referendum


  • Luigi O. Rintallo

Con poco più di trenta espressioni di dissenso – fra contrari ed astenuti – la direzione del PD ha votato a favore del Sì al prossimo referendum sulla riduzione dei parlamentari, così come si era già pronunciato la settimana scorsa il segretario Nicola Zingaretti. La decisione conferma il ribaltamento della posizione del partito sulla modifica costituzionale voluta dal Movimento 5 Stelle e smentisce clamorosamente le sei pagine del documento prodotto dagli stessi deputati del PD il 9 maggio 2019, che motivavano le ragioni per cui il taglio non migliorava affatto le istituzioni e faceva male alla democrazia.

 

Il segretario Zingaretti si è prodotto in un grande sforzo per giustificare questa decisione, presentando il al referendum come un’occasione di ripartenza della stagione delle riforme.  Al di là della natura tutta strumentale di questo sforzo, il collegamento da lui posto tra spirito riformatore e nuova legge elettorale in senso proporzionale disvela invece il carattere profondamente restaurativo e trasformistico della politica che si intende in tal modo intraprendere.

 

E poco vale lanciare la cortina fumogena distraente della raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che introduca compiti differenziati tra Camera e Senato, come suggerito da Luciano Violante. Il fatto essenziale è che il PD resta vincolato all’idea di affrontare la crisi politica del Paese attraverso gli escamotage dei sistemi di voto, assecondando ancora una volta i 5Stelle oramai interessati a preservarsi la possibilità di risultare comunque condizionanti nonostante la caduta dei consensi.

 

Proprio la legge elettorale che sarà oggetto del dibattito in Parlamento dimostra quanto poco importino ai due attuali partner di governo – PD e 5Stelle – governabilità e rappresentatività del nostro sistema istituzionale.

 

L’obiettivo della legge elettorale proporzionale – il cosiddetto Brescianellum dal nome del suo primo firmatario – non è per nulla quello di adeguare il sistema di voto all’eventuale taglio dei parlamentari, bensì quello di impedire la formazione di una maggioranza di governo che scaturisce direttamente dal voto e costringere comunque i futuri vincitori dell’agone elettorale a dipendere, per il voto di fiducia, dal sostegno di altre forze politiche. In tal modo si assicurano instabilità e ridotta rispondenza alla volontà degli elettori.

 

Come già l’inopportuno pronunciamento del premier Conte per il Sì, anche la scelta della direzione del PD è la controprova del carattere autenticamente restaurativo e in contrasto con i principi di una democrazia dell’alternanza insito nella conferma della riduzione dei parlamentari al referendum. Il camaleontismo delle posizioni assunte non riesce a occultare un disegno tattico che, sulla scia dell’anti-politica e della demagogia, si muove nella direzione della conservazione dello status quo e della salvaguardia degli interessi esclusivi di una classe politica sideralmente lontana da quelli del Paese.

 

Con il voto della direzione del 7 settembre, il PD ha in sostanza compiuto un ulteriore – forse irreversibile – passo che lo allontana ancor di più dal farsi promotore di un processo riformatore e, di contro, lo avvicina alle forze che esprimono una torsione in senso antagonista con le democrazie di stampo liberale

 

 


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