Caro Dago,
a leggere l'articolo di Molinari su Bartholomew sono davvero pochi i protagonisti di quegli anni a potersi stupire del racconto (e se si stupiscono significa che protagonisti non erano).
Io c'ero (categoria accessori, non protagonista). E pur di corredo, come segretario dei giovani socialisti - avevo 25 anni - venivo coinvolto dagli addetti, prima del Consolato americano di Genova poi dell'Ambasciata, nei vari progetti di sensibilizzazione al primato della democrazia statunitense (leggi USIS; proposte alle quali non aderii mai, non per antiamericanismo, anzi, ma per semplice ritrosia ligure; credo si possa riconoscere l'amicizia verso un'altra nazione senza doverci, per forza, flirtare).
In sostanza il primo step dell'offerta era: viaggi, incontri e una sana boccata di capitalismo a stelle e strisce. Intendiamoci: nel maggioritario della storia, almeno nel mio caso, eravamo entusiasti che avesse vinto l'Ovest. Era, per noi, la parte giusta della storia. Ma se disdegnavamo l'idea che un giorno i cosacchi si potessero abbeverare alle fontane di San Pietro, nemmeno avremmo sognato di vedere sgorgare, dalle stesse, Coca Cola. Poi quel muro che divideva il mondo rovinò, dopo l'89, addosso a chi l'aveva combattuto. E chi, in Occidente, aveva contribuito a erigerlo diventò, improvvisamente, post comunista e americanissimo.
Comunque, in quegli anni, subito prima, durante e dopo Tangentopoli, molti viaggiavano oltreoceano (con la frequenza con cui da Milano oggi si va in riviera). Erano politici, magistrati, giornalisti, autorevoli esponenti delle forze dell'ordine. Pochi preti…
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