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21/11/24 ore

La variante pugliese della giustizia italiana



di Paolo Mieli

(dal Corriere della Sera del 2 aprile 2017)

 

È probabile che già adesso pochi studenti pugliesi di Legge sappiano quanto è grande il debito della loro terra con Giuseppe Pisanelli, il giurista che pure fu un protagonista del Risorgimento, ministro di Giustizia nel 1860 con Garibaldi a Napoli e poi, nel Regno d’Italia, tra il 1862 e il 1864, con Luigi Carlo Farini e con Marco Minghetti. D’accordo, i libri dello statista di Tricase (in particolare «Dell’istituzione dei giurati» e «Sulla pena di morte») sono tuttora oggetto di studio in molte università. Pisanelli, poi, fu autore del Codice di procedura civile, un testo ancora oggi ammirato per la sua modernità. Ma cosa vogliamo che siano queste piccolezze di centocinquant’anni fa al cospetto della nuova giurisprudenza di Puglia che ci sta rendendo celebri in Europa e presto, c’è da scommetterci, sarà oggetto di attenzione anche al di là degli oceani?

 

Oggi la Puglia è terra di grande innovazione giurisprudenziale. Ma a differenza di quel che si potrebbe supporre colui che potremmo (ironicamente) battezzare il «nuovo Pisanelli» non sarà — a parer nostro — Michele Emiliano, l’uomo che partì indagando su ruberie riconducibili alla «missione Arcobaleno» del governo di Massimo D’Alema (1999). Emiliano seppe fare investigazioni senza che D’Alema se ne adontasse, tant’è che, presto, gli fu concesso di fare carriera politica nelle terre in cui aveva svolto le indagini e nel partito su cui aveva indagato.

 

Quanto al processo, in diciannove, tra i quali qualche dalemiano di rango, furono sì rinviati a giudizio ma con tempi e modalità per cui finirono poi tutti prescritti. Fortunati. Nel frattempo Emiliano si dedicava al nuovo impegno proprio con il partito dei postcomunisti: dei quali, in sede locale, sarebbe stato anche segretario (senza avvertire — come è noto — l’esigenza di dimettersi dalla magistratura). Presoci gusto, adesso il nostro aspira a ripetere l’operazione su scala nazionale, sempre tenendo nell’armadio la toga linda, stirata, pronta al riuso. Nel frattempo ha trasformato la Puglia nella terra d’Europa più ostile alle trivelle mettendosi alla guida del noto referendum. E ancor più nemica dei gasdotti fino a bloccare il tratto pugliese della Trans Adriatic Pipeline, un’opera per cui Enrico Letta nel 2013 volò a Baku a ringraziare personalmente il presidente Ilham Aliyev e Emma Bonino — all’epoca ministro degli Esteri — salutò come un «hub dell’energia» ma che in questi giorni è oggetto di guerriglia a causa dello spostamento di una settantina di ulivi. Tutte guerre combattute in totale sintonia con esponenti di punta della magistratura locale e con il Movimento Cinque Stelle.

 

Per quel che riguarda l’innovazione della giurisprudenza, però, qualche titolo in più di lui lo ha l’ex procuratore capo di Taranto Franco Sebastio, gran promotore di inchieste sull’Ilva, da meno di due anni andato (malvolentieri) in pensione. Sebastio, incoraggiato da Rifondazione comunista, ha deciso di correre per diventare sindaco proprio a Taranto, così da prendere il posto di Ippazio Stefàno, da lui indagato e mandato a processo. Non dovesse farcela, è sceso in campo, con l’appoggio del Pd, un altro magistrato: Massimo Brandimarte, ex presidente del Tribunale di Sorveglianza. E qui la giustizia italiana (nella sua versione pugliese) ha fatto un altro, ben percettibile, passo avanti.

 

Una riconoscimento per le innovazioni giuridiche spetta, in ogni caso, al procuratore di Lecce Cataldo Motta che (assieme a Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci) ha combattuto la guerra della Xylella contro il commissario governativo Giuseppe Silletti, ricercatori, amministratori, docenti universitari, accusandoli di «sistematica distruzione del paesaggio salentino». Complotto ordito, ovviamente, da una multinazionale: Monsanto.

 

È inutile, però, che Emiliano, Motta, Mignone, Licci, Sebastio e Brandimarte si illudano che un giorno vengano loro intitolate vie e scuole come all’illustre predecessore di metà Ottocento. Il «nuovo Pisanelli» sta altrove. A Trani per l’esattezza. Ed è Michele Ruggiero, il magistrato che si è battuto contro Standard&Poor’s. E non ci si lasci sviare dal fatto che, giovedì scorso, in prima istanza i responsabili dell’agenzia di rating accusati di aver intenzionalmente diffuso ai mercati, tra il 2011 e il 2012, informazioni «distorte e tendenziose» allo scopo di minare l’affidabilità creditizia italiana, sono stati assolti.

 

È da anni che inchieste del genere finiscono nel nulla (talvolta nel ridicolo), ma il dottor Ruggiero non ha motivo per scoraggiarsi. E lo sa bene. Il giorno della sentenza si è presentato festante con una cravatta tricolore e nel corso del processo — per il quale aveva convocato Padoan, Monti, Prodi, Sacconi, Vegas, Tremonti, Mario Draghi — ha sostenuto l’ardita tesi secondo la quale l’Italia nel 2011 «stava messa meglio di tutti gli altri Paesi Ue», sicché non ci sarebbero stati i presupposti di un declassamento. L’intero centrodestra italiano ha dato man forte a Ruggiero e alle sue «rivelazioni» solo perché portavano acqua al mulino di chi (Renato Brunetta, mai contraddetto da nessuno dei suoi) sostiene che nel 2011 Silvio Berlusconi fu vittima di una cospirazione. Talché Ruggiero è diventato un mito per i dietrologi di destra e di sinistra — uniti a Bari, Taranto, Lecce e soprattutto Trani — in un unico fronte ideologico. Fronte che, però, fa proseliti solo in Puglia. Quando una parte dell’inchiesta di Ruggiero è stata stralciata ed inviata a Milano, la procura lombarda ha archiviato il tutto senza nascondere un certo imbarazzo.

 

Ricordiamo, per inciso, che Ruggiero è lo stesso uomo togato che si segnalò anni fa con il celeberrimo Tranigate (intercettazioni di Silvio Berlusconi ) poi archiviato. Quindi per le inchieste sulle carte di credito American Express, sui derivati di Banca intesa e di Bnl. A un certo punto fu anche deferito al Csm. Ma l’organo di autogoverno della magistratura non eccepì alcunché sul suo operato.

 

L’attivismo di Ruggiero non si limita all’economia e alla politica. All’inizio del 2014 il medico poliziotto Massimo Montinari, dirigente dell’ufficio sanitario all’VIII reparto mobile di Firenze, è andato in Puglia a tenere una delle sue abituali conferenze dal titolo: «Vaccini e autismo: tutto quello che c’è da sapere». E che c’è da sapere? Montinari si riferiva alle celeberrime tesi di Andrew Wakefield che è il San Pietro della guerra contro i vaccini. Nel 1998 Wakefield riuscì a piazzare sulla prestigiosa rivista Lancet una ricerca che «provava» il nesso tra vaccini e autismo. I medici inglesi si occuparono immediatamente della questione: dopo indagini assai accurate, giunsero alla conclusione che Wakefield aveva falsificato i dati (e per giunta aveva abusato, in dodici occasioni, di bambini mentalmente disagiati). Immediatamente lo radiarono dalla professione, Lancet ritirò la ricerca e si scusò pubblicamente dell’infortunio. Ma Wakefield ha continuato — anche se la stampa londinese lo tiene d’occhio — a tener vivo il proprio culto: ha girato un film Vaxxed (che qualche mese fa i grillini avrebbero voluto fosse proiettato in Senato) ed è potuto venire in Italia ad abbracciare Montinari. Il quale, invece, resta indisturbato al suo posto di medico e di poliziotto. A seguito di quella visita in Puglia, contro Montinari partirono esposti dei vertici sanitari locali preoccupati per il crollo delle vaccinazioni.

 

Gli esposti però furono indirizzati alla procura di Trani dove finirono tra le mani di Michele Ruggiero che aveva preso parte alla conferenza di Montinari e ne era rimasto folgorato. Accadde così che proprio nel 2014 la procura di Trani, accantonate le rimostranze di cui si è appena detto, sia partita all’attacco contro i vaccini. Ma, a giugno dell’anno scorso, anche questa, come tutte le clamorose inchieste della procura di Trani, è finita in uno stagno. I giudici sono stati costretti a prender atto del responso dei medici consultati: «tra vaccini e autismo non c’è correlazione».

 

Ruggiero non si è perso d’animo né allora né adesso ed è rimasto a combattere sui fronti che lui stesso ha costruito: prossimo obiettivo Deutsche Bank. Così vanno le cose giudiziarie in terra di Puglia. Nella più totale distrazione di Csm, Anm, giudici prestigiosi e sommi giuristi.

 

A nostra consolazione possiamo però ricordare che anche i magistrati impegnati a smontare le bizzarre costruzioni di cui si è detto sono pugliesi. Ragion per cui si può sostenere che pure in Puglia esiste una giurisprudenza che può ancora dirsi erede di Giuseppe Pisanelli. Erede vera, in questo caso.

 

(tratto dal corriere.it)


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