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26/12/24 ore

L'UNESCO a Cracovia caccia gli ebrei dalla Tomba dei Patriarchi nel silenzio della cristianità



di Camillo Maffia

 

“Soltanto chi grida per gli ebrei può cantare anche il gregoriano”, diceva Dietrich Bonhoeffer. Hebron è un luogo militarizzato, dove la speranza della pace e del dialogo, anche quando è intensa e dettata da una fiducia profonda, si smarrisce e vacilla. È il luogo della tensione, sacro per gli ebrei e per gli arabi: in linea di massima, l'ultimo posto in cui sarebbe intelligente accendere una discussione.

 

Immaginiamo una coppia sull'orlo del divorzio, che riesce ancora a sorridere se la sera danno alla televisione un film amato da entrambi che si sono recati a vedere per la prima volta negli anni dell'innamoramento, ma che esplode irreparabilmente all'arrivo della suocera: un consulente matrimoniale che, nel tentativo di riappacificarli e creare un equilibrio tra loro, adempisse a questo suo mandato invitando a cena la suocera per poi difendere a spada tratta le argomentazioni di un coniuge contro l'altro, sarebbe un perfetto imbecille e non durerebbe a lungo nella sua professione.

 

Eppure, l'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della tutela del patrimonio artistico-culturale, l'UNESCO, è intervenuta su Hebron con la stessa delicatezza e, soprattutto, con analoga intelligenza. La risoluzione, passata con 12 voti a favore, 3 contrari e 6 astenuti, era stata proposta per “mettere in sicurezza” il sito di Hebron. Già il comitato di esperti, l'ICOMOS, aveva dato parere negativo, mancando alcuni requisiti essenziali ed essendo beatamente ignorata gran parte della storia ebraico-cristiana, ma gli Stati membri della commissione hanno votato ugualmente a favore.

 

Anzi, di quel parere negativo era stato riportato un po' quello che faceva comodo nella prima stesura; solo in seguito alle proteste d'Israele era stato reinserito il commento degli esperti e sono state poi sollevate questioni burocratiche affinché la prima stesura passasse ugualmente. Posto di fronte all'assurdo, il rappresentante israeliano Carmel Shama-Hacohen ha troncato il suo intervento spiegando che lo stava cercando al telefono il suo idraulico, per via di un problema nella toilette del suo appartamento che riteneva più importante della risoluzione. E come dargli torto? 



Del resto, anche Benjamin Netanyahu ha sottolineato un punto cui è difficile controbattere: “Questa volta hanno stabilito che la Tomba dei Patriarchi è un sito palestinese, cioè non ebraico, e che è in pericolo. Non è un sito ebraico?! Il sito venerato come luogo di sepoltura di Abramo, Isacco e Giacobbe, Sara, Rebecca e Lea, i nostri patriarchi e matriarche. Un sito in pericolo? In realtà solo nei siti dove è presente Israele, come Hebron, la libertà di religione è garantita a tutti. Nel resto del Medio Oriente moschee, chiese e sinagoghe vengono spazzate via dappertutto”. La sintesi del premier israeliano fa riflettere, soprattutto se si considera quanti sono i Paesi in lista che attendono di veder riconosciuti e/o messi in sicurezza i siti che appartengono al loro patrimonio culturale.

 

E non si comprende quale sia la ragione – o si comprende, purtroppo, fin troppo bene – per riscrivere la storia di Hebron, dato che a Cordoba, per esempio, l'UNESCO ha potuto tranquillamente specificare che “nel XIII secolo, sotto Ferdinando III il Santo, la Grande Moschea venne trasformata in una cattedrale”, così come a Città del Messico non ha certo negato la storia azteca.

 

L'ambasciatore di un paese arabo che non ha rapporti diplomatici con Israele ha chiesto scusa al collega israeliano, spiegando che era “difficile definire” che il voto fosse segreto. La risposta di Shama-Hacohen è stata: “Lo so, amico mio. Per me è come se l'avessi fatto”. “No choice...”, “Non avevo scelta”, ha replicato l'altro. Una storia molto triste, soprattutto se si pensa che fin quando la Tomba dei Patriarchi è stata sotto il controllo arabo-islamico agli ebrei era vietato avvicinarsi e pregare oltre il settimo gradino della scala esterna. Continua insomma la vergognosa strumentalizzazione politica dell'UNESCO, che era già emersa in modo palese con la vicenda del Monte del Tempio a Gerusalemme.

 

In base alla risoluzione, dunque, la Tomba dei Patriarchi appartiene al patrimonio culturale palestinese ed è in pericolo. Quest'ultima parte sarebbe comica se non fosse tragica, perché non appena si legge “in pericolo”, davanti agli occhi scorrono mentalmente le immagini dei siti spazzati via dalla furia del terrorismo islamico in tutto il Medio Oriente; ma certo è ancora più tragicomico negare le radici ebraiche della Tomba dei Patriarchi

 

Il voto avrebbe dovuto effettivamente essere segreto, e questo avrebbe consentito ad alcuni Paesi di votare contro la risoluzione senza ripercussioni diplomatiche. Ma all'ultimo momento non è andata esattamente così e si è svolto in modo solo parzialmente segreto. La rabbia d'Israele è forte: il ministro dell'Istruzione israeliano, Naftali Bennet, ha definito “spiacevole ed imbarazzante vedere l'UNESCO negare ogni volta la storia e distorcere la realtà per mettersi al servizio di quelli che cercano di spazzare via lo Stato ebraico dalla mappa geografica. Invece di proteggere centinaia di siti distrutti dall'islamismo estremista”, ha aggiunto, “tra cui la moschea al Nuri a Mosul, l'UNESCO agisce contro l'unico Paese del Medio Oriente che tutela tutti i luoghi sacri e riconosce libertà religiosa a tutti i fedeli”.

 

Non tutti, però, sono scontenti: il portavoce di Hamas Abudllatif al Qanoun si è congratulato con la risoluzione che si riferisce a Hebron come “islamica” e “demolisce la falsa narrazione israeliana”. Come riporta “Il Foglio”, la vicenda è stata ben riassunta dalla giurista Eugene Kantorovich: “A Cracovia, dove sono stati eliminati gli ebrei, sradicano la storia ebraica”. Tanto che un gruppo di sopravvissuti alla Shoah aveva chiesto alla Polonia e all'UNESCO di non procedere con quella che sarebbe stata “una dissacrazione della memoria dei milioni di ebrei morti sul suolo polacco”, nelle parole della fondatrice dello Shurat HaDin, Nitsana Darshan-Leitner.

 

Ma ormai la storia di Hebron è stata scritta di nuovo: chi ha l'abitudine di leggere la Bibbia, dovrà rassegnarsi al fatto che il “padre di molti popoli” è padre di un popolo solo, quello che rivendica la discendenza da Ismaele. E così, benché obiettivo delle Nazioni Unite dovrebbe essere la pace e la convivenza tra questi popoli, è stata invece seminata zizzania tra loro, riconoscendone uno a discapito degli altri.

 

Viene infatti da chiedersi se all'UNESCO abbiano mai letto la Bibbia, posto che si tratta probabilmente del libro più citato e meno letto, nell'era contemporanea. Dalla Genesi apprendiamo che Abramo si recò a Hebron dopo essersi separato da Lot e quindi prima della campagna di Chedorlaòmer quando, avvertito che Lot è stato fatto prigioniero, sconfigge Chedorlaòmer e riceve la benedizione di Melchìsedek, che precede il dialogo e l'alleanza con Dio, cui segue la nascita di Ismaele e la cacciata di Agar, prima della promessa della nascita d'Isacco che avviene sempre presso le Querce di Mamre a Hebron e anticipa la distruzione di Sodoma, da cui si salveranno solo Lot e le sue figlie; Sara morirà e sarà seppellita a Hebron, nella caverna del campo di Macpela.

 

Anche la morte di Isacco avviene a Hebron, dov'è sepolto da Esaù e Giacobbe, ovvero Israele, il quale amerà più degli altri suoi figli Giuseppe, che susciterà l'invidia dei fratelli da cui viene venduto quando, partito appunto da Hebron, si reca a Sichem per raggiungerli. La redazione della Genesi è collocata tra il VI e il V secolo a.C.; l'islam non farà la sua comparsa nella storia umana prima del VII secolo. Nel Libro dei Numeri leggiamo, laddove racconta che Mosè manda uomini a esplorare la terra di Canaan che salirono fino a Hebron, che questa fu edificata sette anni prima di Tanis d'Egitto.

 

Quando il sole si fermò su Gàbaon, secoli e secoli prima di mettere così nei guai il povero Galileo la cui teoria metteva in discussione l'interpretazione letterale dell'episodio, il re di Gerusalemme aveva mandato al re di Hebron un messaggio, affinché lo aiutasse contro Gàbaon che aveva fatto pace con Giosuè e con gli Israeliti, rivolto a lui e ad altri quattro regnanti, che sono tutti sconfitti da Giosuè, secondo il racconto dell'omonimo Libro, il quale durante la conquista della parte centromeridionale della terra di Canaan attaccherà Hebron, votandola allo sterminio assieme a tutti gli Anakiti con le loro città; Hebron sarà poi assegnata in eredità a Caleb da Giosuè, che lo benedirà, secondo l'ordine del Signore, e sarà consacrata come città di rifugio prima di rientrare tra le città levitiche.

 

 Nel Secondo Libro di Samuele il Signore comanda a Davide di salire a Hebron con le sue due mogli e i suoi uomini, che vi abiteranno con le loro famiglie: qui è unto re di Giuda e regnerà su Hebron per sette anni e sei mesi, durante i quali gli nasceranno sei figli e banchetterà con Abner, che sempre qui sarà colpito a morte da Ioab, per vendicare il sangue di suo fratello, e sarà seppellito e pianto da Davide, prima che Recab e Baanà uccidessero a tradimento Is -Baal per portarne la testa a Davide nella speranza di una ricompensa; saranno invece appesi presso la piscina di Hebron, mentre la testa di Is-Baal verrà seppellita nel sepolcro di Abner.

 

Nella stessa città Davide è raggiunto da tutte le tribù d'Israele, con cui conclude un'alleanza davanti al Signore ed è unto re d'Israele. In seguito, la rivolta di Assalonne ha inizio quando questi chiede a Davide di andare a Hebron per sciogliere un voto e gli viene accordato. Hebron sarà trasformata in fortezza da Roboamo, come apprendiamo dal Secondo Libro delle Cronache la cui redazione è collocata intorno al 330-250 a.C. La nascita di Maometto è convenzionalmente fissata al 570 d.C. 

 

I fatti raccontati nell'Antico Testamento avranno particolare rilevanza e risonanza anche nel cristianesimo e ricorrono nel Nuovo: citiamo qui, a scopo meramente esemplificativo, la Lettera agli Ebrei dove si riprende l'episodio di Melchìsedek e il Salmo di Davide in cui si annuncia il Messia, che sarà “sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchìsedek”, che trova compimento in Gesù; e la Lettera ai Galati (Gal 4:21-31), in cui l'Apostolo scrive delle due alleanze, quella di Agar e quella di Sara, quest'ultima allegoria della Gerusalemme celeste “madre di tutti noi”, identificando così i cristiani con i “figli della promessa, alla maniera di Isacco”, figli di Sara, la “donna libera”.

 

Ma è solo un esempio che si può applicare all'intera tradizione cristiana: basti pensare che Sant'Agostino, oltre a tornare ovviamente su questi concetti nella “Città di Dio”*, si sofferma a lungo sugli avvenimenti cruciali di cui Abramo è protagonista a Hebron nel Libro XVI dello stesso testo, che fu scritto tra il 413 e il 426, circa due secoli prima della comparsa dell'islam. Senza timore di equivoco possiamo dunque affermare che Hebron, oltre a essere intrisa di storia ebraico-cristiana, è sacra per tutti coloro che si ritengono discendenti di Abramo e Sara: ebrei, cristiani e musulmani.

 

In generale, basterebbero i proverbiali pellegrinaggi di S. Brigida di Svezia** a palesare l'assurdità culturale di questa rimozione del significato cristiano dei luoghi della Terra Santa di risoluzione in risoluzione, tanto che, in alcune zone del Sud Italia, l'espressione "Santa Brigida!" è ancora usata per indicare una grande fatica; l'esclamazione compare perfino nella Hamlet Suite di Carmelo Bene. Malgrado ciò, Hamas può tranquillamente definire il voto “un'affermazione dei nostri pieni diritti a Hebron e in tutta la terra palestinese”. Rivedranno ulteriormente invece i loro rapporti con l'UNESCO Israele e gli USA, la cui ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley ha definito la risoluzione “un tragico affronto alla storia”. Israele taglierà per protesta un milione di dollari dai fondi all'UNESCO, e secondo quanto riporta il Times of Israel li spenderà per l'allestimento di un museo sulla eredità storica ebraica nell'area di Hebron.

 

Nel 1929 la Tomba dei Patriarchi vide il massacro di 70 ebrei uccisi a sangue freddo dai terroristi arabi. Sempre al “FoglioJosef Olmert, docente alla South Carolina University si è domandato: “Può l'Onu decidere che la Mecca non è islamica? O che il Vaticano non è cattolico? L'antisemitismo viola tutte le regole quando si tratta di ebrei”.

 

Nel medesimo approfondimento Giulio Meotti nota come nelle stesse ore in cui a Parigi si approvava la risoluzione duecento ebrei lasciavano la città, per via dell'antisemitismo: la metà degli ebrei francesi intende lasciare la Francia e secondo uno studio dell'Università di Oslo nel 2015 sono stati diecimila gli ebrei che dall'Europa occidentale si sono trasferiti in Israele.

 

Ma se il movente dei Paesi proponenti questo genere di risoluzioni è chiaro, resta la domanda: perché l'UNESCO si presta a simili strumentalizzazioni? Siamo abbastanza italiani da capirlo: sappiamo ormai che dietro ogni forma di discriminazione si nasconde un movente primario che è il danaro. Vi è infatti una scalata crescente di tipo economico al fondo dell'UNESCO da parte dei regimi islamici: mentre sono proprio i Paesi come gli USA e Israele stessa a tagliare i fondi per protesta, quelli come l'Arabia Saudita e la Turchia di Erdogan sono diventati i principali finanziatori.

 

Il Qatar finanzia Hamas e l'UNESCO con la stessa disinvoltura e si è guadagnato così un ruolo di primo piano, che ha esercitato come sostenitore della risoluzione dello scorso ottobre: meno di sei mesi prima aveva stanziato un finanziamento da 2 milioni di dollari all'UNESCO. Ancora Meotti nota che il Kuwait sostiene l'organizzazione con cinque milioni di euro. In parole povere, è difficile non cogliere un nesso fra queste risoluzioni che negano la storia ebraica e il fatto che fra i principali finanziatori dell'UNESCO vi siano attualmente Stati che sovvenzionano allo stesso modo il terrorismo islamico e vogliono veder cancellata non solo la storia d'Israele, ma Israele stessa.

 

L'approfondimento del “Foglio” sottolinea infine un aspetto che merita di essere analizzato e collocato nella sua giusta dimensione. La storica Bat Ye'or, studiosa delle minoranze nell'islam, spiega: “Le risoluzioni dell'UNESCO che cancellano la storia ebraica stanno cancellando anche i cristiani, visto che il cristianesimo si basa sulla storia ebraica, la Bibbia, che è la storia del popolo d'Israele... Poiché ci sono più di due miliardi di cristiani, il loro silenzio e persino il consenso sulla distruzione della propria storia e della maggior parte dell'identità e dei valori interiori dimostrano la portata della disintegrazione morale e culturale dell'Occidente”. In questi giorni i commentatori si sono scervellati per comprendere le ragioni di questo silenzio, ma noi siamo convinti che sia inutile ricercare motivazioni politiche perché latita anche ogni forma di manifestazione spontanea, sia pure d'indignazione “di pancia”. 

 

Il movente potrebbe essere più profondo, e da ricercare altrove, premettendo che non si vuole criticare né offendere il singolo credente, il singolo sacerdote o la singola chiesa, ma riflettere su una tendenza culturale che si offre come possibile spunto interpretativo. Il principale quotidiano cattolico presentava la risoluzione in maniera asettica, pubblicando le dichiarazioni dell'autorità israeliana e quelle dell'autorità palestinese. Nessuno faceva caso al fatto che la Tomba di Abramo, colui che “ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia” (Rm 4:3), sia stata cancellata in quanto tale dalla massima autorità sul patrimonio culturale mondiale. L'informazione cattolica tende a non sottolineare questo aspetto rispecchiando così il disinteresse della cristianità, tanto da far supporre che non ci sia più una cristianità fondata sul cristianesimo, ma un cristianesimo opinionista.

 

Se si fosse votato per le unioni civili, allora sì che la cristianità tutta si sarebbe sentita chiamata in causa: in quel caso nasce subito un dibattito. Se un malato terminale soffre indicibilmente e vuol porre fine alle sue sofferenze assistiamo a un'analoga mobilitazione da parte della cristianità che si attiva; lo stesso avviene se si parla di migranti, di laicità, di scuola o di qualunque argomento che non sia il cristianesimo. Lì, pare regni il disinteresse

 

Di fronte ai cristiani perseguitati in Medio Oriente in modo brutale e violento insieme alle altre minoranze religiose e all'evidente tentativo di strumentalizzare politicamente l'UNESCO da parte di Paesi che vogliono impedire la libertà religiosa, la cristianità tace forse non per disinteresse o per rassegnazione né per indifferenza, ma perché ha perso gli strumenti per capire in quanto ha preso una strada che col religioso ha sempre meno a che fare.

 

E se è così bisogna ricordare che con questo silenzio si abbandonano non solo gli ebrei, ma anche quei cristiani in Medio Oriente che resistono in condizioni disumane, per noi inimmaginabili, “lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12:12). Allora forse, sebbene nessuno se ne sia accorto, in questo silenzio è stata emessa una sentenza di divorzio: non quello tra ebrei e palestinesi, ma quello tra cristianità e cristianesimo – la sentenza definitiva di un divorzio durato secoli.

 

Perché se la cristianità fosse cristiana, non dovrebbe pentirsi e chiedere scusa a Israele e alle comunità schiacciate e soggiogate dal peso dell'islam radicale, comprese quelle cristiane, criticando apertamente le decisioni prese dall'UNESCO? Purtroppo sembra invece che la cristianità in Occidente s'affanni e si agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. I cristiani in Medio Oriente invece, che affrontano tutti i giorni le persecuzioni dell'islam radicale e hanno ben chiaro cosa significhi il riconoscimento o meno della storia e della cultura cristiana in relazione agli spazi e alla loro sacralità, hanno scelto la parte migliore, che non gli sarà tolta (Lc 10:41-42). Sono insorti infatti, ad esempio, gli evangelici presenti in Israele, come CharismaLife Ministries e HaYovel

 

Se di fronte alla cancellazione così evidente del cristianesimo dalla Tomba di Abramo o dal cuore di Gerusalemme non si è assaliti da un senso di freddo, che fa temere e tremare e scuote dalla testa ai piedi, allora è logico che il sito resta un reperto archeologico come tanti e non val la pena infilarsi in una spinosa questione geopolitica. È quindi inutile, come in tanti s'affannano a fare, cercare ragioni politiche del silenzio della cristianità: vi è magari un tantino d'ignavia che sarebbe profondamente ingiusto attribuire a tutti. La cristianità occidentale tace forse perché ha altro da fare: nel compromesso al ribasso tra fede e ragione, queste se ne vanno a braccetto, in giro per il centro commerciale, e magari andranno anche a visitare la Tomba dei Patriarchi, tanto più che è diventata patrimonio dell'umanità, alloggiando in un resort di lusso.

 

Non fugge infatti dalla Tomba di Abramo quanto dal paradosso di Abramo. Eppure quando la ragione lasciava ancora il passo alla fede si verificava il capovolgimento più intenso del cristianesimo, quello in virtù del quale solo quando la ragione è vinta dal paradosso celebra il suo più grande trionfo, che è su se stessa: è allora che, atterriti dalla sacralità degli spazi, davanti a quella sacralità si può esultare. Ma per questo è necessario il timore, bisognerebbe uscire dal compromesso e non si può, perché alle cinque viene la babysitter e ci sono i saldi da Euronics. In tutto questo, resta inascoltata e oramai calpestata la domanda di pace che tuttora permane tra arabi ed ebrei in mezzo al popolo, così come il grido dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate in Medio Oriente.

 

Schiacciati dalle menzogne e dall'inadeguatezza dei loro governanti, indipendentemente dal loro credo possono comunque ritrovarsi nelle parole del Salmo: “Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna, dalla lingua ingannatrice! Che ti posso dare, come ripagarti, lingua ingannatrice?... Troppo ho dimorato con chi detesta la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra” (Sal 119:2-3; 6-7). 

 

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* “La città di Dio, che si evolve nella serie dei tempi, indicherà come si adempiano le promesse di Dio rivolte ad Abramo giacché abbiamo appreso che, per garanzia di Dio stesso, sono dovuti alla sua discendenza il popolo d’Israele secondo la razza e tutti i popoli secondo la fede”, Libro XVII, I 

 

** L'ultimo, appunto in Terra Santa, la condusse nei luoghi della predicazione di Cristo tra il 1371 e il 1372; a Gerusalemme si ammalò e in seguito a un successivo aggravamento morì a Roma l'anno seguente, assistita dalla figlia Caterina, il 23 luglio, data in cui tutt'oggi ricorre la Festa a lei dedicata come santa patrona di Svezia e compatrona d'Europa.

 

 


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