di Dario Caputo
Continuiamo il nostro viaggio nella lunga, purtroppo, storia legata alle vittime dimenticate, uccise per mano della mafia e della criminalità organizzata. Sono davvero tante le morti che potremmo annoverare in questa lista: tra donne, uomini e piccole vittime innocenti.
Le vecchie e le nuove generazioni, soprattutto queste ultime, tendono, in questi casi, ad avere la memoria fin troppo corta; non si lavora sul ricordo ma, molte volte, si lavora in senso opposto e le scuole, con le varie Istituzioni in campo, dovrebbero partire dal basso per invertire la rotta.
Come dicevamo prima, all’inizio di questo nuovo racconto, molte sono state le piccole vittime innocenti morte per mano della criminalità e qui andremo a raccontare la triste storia di Claudio Domino che, alla tenera età di soli undici anni, perse la vita in una Sicilia che ha visto tante morti simili a quella di questo piccolino.
Claudio si trovava con un amichetto a San Lorenzo a Palermo, a pochi metri dalla cartolibreria della madre intento a giocare come sempre, in un giorno qualunque, quando perse la sua giovane vita per mano della criminalità locale.
In quel triste e tragico giorno di inizi ottobre del 1986, il 7, una moto accostò, il motociclista lo chiamò per nome e Claudio, con l’innocenza che contraddistingue i piccoli, si avvicinò a lui; nemmeno il tempo di chiedere cosa volesse e l’uomo sparò, dritto in fronte al piccolo, lasciando sul suo volto, come raccontarono poi le diverse cronache locali, un’espressione incredula, come di chi non capisce il perché.
I boss mafiosi, presenti e rinchiusi all’interno dell’Aula bunker per il Maxiprocesso a Palermo, Giovanni Bontade e Pippo Calò, presero subito le distanze da quel delitto, definendolo tanto insensato quanto crudele.
I Carabinieri brancolarono per un bel po' di tempo nel buio ma poi si arrivò alla svolta delle indagini, grazie alle parole di un pentito: il piccolo Claudio avrebbe assistito, casualmente, al confezionamento di eroina in un magazzino vicino al negozio dei genitori e da questa tragica e fortuita occasione sarebbe partito l’ordine della sua uccisione: a commettere l’omicidio fu un tossicodipendente inviato dal boss Salvatore Graffagnino, un noto caporione della zona, ucciso poi a tempi di record dagli uomini d’onore di Cosa Nostra.
Il tutto fu confermato proprio dal boss Salvatore Cancemi, ad anni di distanza, nel 1994: Claudio fu ucciso perché aveva visto troppo.
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