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18/12/24 ore

USA, verso la fine dell'Occhio per occhio, ma non del principio "un cittadino un'arma"



Se James Holmes, sospetto autore della strage nel cinema di Aurora, vicino a Denver, sia sano di mente saranno i giudici del Colorado a stabilirlo. Quello che si può stabilire subito come folle è certamente la sacralità del diritto di possedere armi sancito dal Secondo Emendamento della Costituzione americana.

 

Secondo l’FBI, vi sono dai 240 ai 270 milioni di armi nelle mani di privati cittadini americani, in pratica “un cittadino, un’arma”, fuori da un controllo serio sulla effettiva necessità e soprattutto sullo stato di salute mentale del possessore.

 

Dopo la strage di Denver, l’ultima di una lunga serie compiuta da ragazzi che evidentemente non hanno avuto difficoltà a procurarsi armi da fuoco, il presidente Obama ha subito dichiarato che non ha alcuna intenzione di riprendere in considerazione la legge Brady sul bando delle armi semi-automatiche, promulgata nell’era Clinton e poi fatta cadere dall’amministrazione Bush.

 

L’America è stata fondata con la Bibbia e con il fucile. L’occhio per occhio dell’Antico Testamento ha costituito la regola semplice con cui amministrare la giustizia, la canna del fucile il mezzo scontato per assicurare la propria difesa. Ma se tale regola e tale mezzo avevano un senso nel troppo piccolo e solitario mondo dei pionieri, sono divenute armi improprie, politiche ed elettorali, nel troppo grande e complesso mondo americano di oggi.

 

Nel caso di Denver, la decisione se applicare la regola biblica dell’occhio per occhio va condivisa – ha detto il procuratore distrettuale – coi parenti delle vittime. La decisione, invece, se intaccare il principio costituzionale sul possesso di armi va condivisa – secondo Obama – con la National Rifle Association, il difensore americano più accanito del Secondo Emendamento. Mentre è lecito dubitare sulla ragionevolezza della potente lobby delle armi per limitare gli omicidi da parte di cittadini armati, è più facile contare su quella dei familiari delle vittime per porre fine agli “omicidi” di Stato.

 

Certo, quasi immancabilmente i media registrano che dopo una esecuzione i parenti della vittima si dicono “molto soddisfatti e finalmente sollevati”, ma a questo argomento, che fa presa sui politici alla ricerca di consensi, alcune associazioni di parenti delle vittime stanno sempre più rispondendo che, proprio nell’interesse delle vittime, sarebbe meglio dirottare i fondi necessari per mantenere il sistema capitale – tenere una persona nel braccio della morte costa fino a 20 volte di più che tenerla in carcere per tutta la vita! – verso i “cold cases”, i casi archiviati che sono molte migliaia ogni anno.

 

Nelle recenti abolizioni della pena di morte negli USA è stato determinante il ruolo svolto proprio da parenti delle vittime di reati efferati. Nel gennaio 2011, con una lettera aperta, Jennifer Bishop Jenkins e Kathleen Bishop Becker, due cugine che hanno avuto tre familiari assassinati, hanno chiesto al parlamento dell’Illinois di abolire la pena di morte perché è un modo migliore di aiutare le vittime. La Jenkins è stata membro della Illinois Capital Punishment Reform Study Commission e, dopo aver partecipato a oltre 80 sedute e udienze pubbliche, si è convinta che il “sistema” non poteva essere aggiustato. “Troviamo ancora persone innocenti nel braccio della morte del nostro Stato. Spendiamo ancora milioni di dollari per far sopravvivere questo sistema zoppicante”, hanno scritto le due donne.

 

Il 9 marzo 2011 l’Illinois ha abolito la pena di morte. In Connecticut sono stati circa 180 i parenti delle vittime che si sono impegnati a favore dell’abolizione della pena di morte, in incontri con i parlamentari, organizzando petizioni e partecipando a conferenze. Quando il 5 aprile scorso, il Senato del Connecticut l’ha abolita, tra le persone che, sedute tra il pubblico, hanno seguito il passaggio decisivo della legge c’era Elizabeth Brancato, da molto tempo una paladina dell’abolizione, nonostante la madre sia stata uccisa da un ladro penetrato nella sua abitazione nel 1979. “È stato uno dei momenti più belli della mia vita”, ha commentato.

 

Sergio D'Elia

(Segretario di Nessuno tocchi Caino)


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