di Marta Palazzi
La scorsa settimana al Museo Civico Castelvecchio di Verona sono stati rubati 17 dipinti di inestimabile valore. Poco prima della chiusura del museo, quando già tutti i visitatori erano usciti, tre rapinatori armati e a volto coperto hanno immobilizzato i due soli dipendenti presenti (una cassiera e una guardia giurata).
Dopo aver imbavagliato la cassiera, uno di loro è rimasto a fare il palo all’ingresso, mentre gli altri due hanno portato con sé il vigilante nelle sale del primo piano. Hanno rimosso le tele dalle cornici e in qualche caso staccato direttamente i quadri dalle pareti, per poi scappare con l’auto della guardia giurata.
L’allarme che collega l’edificio alla centrale di intervento non era ancora stato inserito, probabilmente perché si attendeva la fine del giro di ispezione del loro addetto: questa pare la prima falla del sistema.
Tra le opere rubate capolavori di Mantegna, Bellini, Rubens, Tintoretto, Pisanello e il bellissimo “Ritratto di bambino con disegno” di Caroto, un’icona del Cinquecento italiano che opportunamente pubblicizzata avrebbe potuto esercitare una enorme capacità di attrazione. Opere troppo note per essere collocate sul mercato dell’arte e probabilmente destinate a committenti privati o a qualche asta sul mercato nero. Secondo gli investigatori la destinazione di questo tipo di traffici potrebbe essere la Russia.
È probabile che prima di venerdì molte persone non sapessero dell’esistenza di un museo così importante a Verona, né quali capolavori custodisse; a Verona spesso i giri turistici si esauriscono nella visita all’Arena e al balcone di Giulietta. Anche i dati lo testimoniano: nel 2014 l’Arena ha accolto 850 mila visitatori e la casa di Giulietta ha sfiorato i trecentomila, mentre il Castelvecchio, una fortezza scaligera risalente alla metà del Trecento, con i suoi capolavori, ne ha avuti soltanto 129.800, con un leggero incremento rispetto all’anno precedente soprattutto grazie alle numerose iniziative per celebrare Carlo Scarpa, l’architetto che cinquant’anni fa progettò e attuò i lavori di sistemazione del museo nella sede del castello scaligero. Nella classifica dei 100 musei più visitati d’Italia nel 2014, il Castelvecchio è solo al 54esimo posto, mentre l’anno prima era addirittura al 65esimo.
L’opinione di Vittorio Sgarbi, secondo cui si potrebbe trattere di un attacco dimostrativo jiahdista, non ha finora trovato riscontri, ma i furti e la colpevole incuria di cui è vittima il nostro patrimonio artistico sono sempre percepiti come atti di violenza che uccidono la storia e la memoria. Le opere d’arte trafugate in Italia dal 1970 ad oggi sono 438.729, ma ne sono state recuperate appena 134.614: sono le cifre ufficiali fornite dal Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico dei Carabinieri, istituito nel 1969 e considerato uno tra i migliori al mondo per il recupero delle opere d’arte rubate.
Il dato non tiene conto di tutte le opere trafugate prima del 1970 e mai rientrate in Italia, che dovrebbero essere oltre un milione, senza contare tutto il sommerso, derivante da scavi clandestini o da fondi archivistici o museali non catalogati. D’altronde l’Italia ha un’altissima concentrazione di patrimonio artistico, tanto grande quanto sconosciuto e non valorizzato: i dati sull’accesso a musei, monumenti e aree archeologiche ci dicono come capolavori assoluti e tesori artistici senza eguali abbiano ogni anno un numero incredibilmente basso di visitatori (un esempio per tutti, il museo archeologico di Palestrina, con appena 19.000 ingressi annui a fronte di una qualità espositiva mozzafiato).
Un simile patrimonio richiederebbe standard di vigilanza e attenzione ben diversi da quelli adottati a Verona. In un rapporto diffuso appena un anno fa, la direzione del museo Castelvecchio aveva evidenziato che il buon funzionamento del museo era compromesso dalla “gravissima mancanza di personale di sorveglianza e accoglienza” e, in generale, dalla mancanza di attenzione dell’amministrazione cittadina verso i beni culturali. Un’accusa diretta al sindaco di Verona, Flavio Tosi, che ora si duole per il colpo inferto alla sua città.
I problemi del Castelvecchio sono comuni a tutte le realtà che non siano grandi strutture come gli Uffizi di Firenze o il Palazzo ducale di Venezia. L’incuria del nostro patrimonio artistico costituisce una delle principali responsabilità della classe politica e amministrativa italiana, che da sempre spreca le risorse (Pompei ne rappresenta l’esempio più scandaloso) e lamenta i pesanti “tagli” quando le risorse finiscono.
Il sistema andrebbe riformato a partire da una scelta che in altri paesi sarebbe considerata normale: aprire la cura del patrimonio artistico a soggetti privati che forniscano adeguate garanzie. Una soluzione che in Italia risulta molto difficile quando non impossibile. In tempi recenti anche l’appalto del restauro del Colosseo, affidato all’imprenditore Diego Della Valle, è stato contestato duramente.
L’ultimo Decreto Cultura del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, in vigore dal 31 luglio 2014, consente per tre anni detrazioni fiscali sugli importi devoluti per il restauro dei beni culturali, delle biblioteche e degli archivi (il cosiddetto “art bonus”), ma non prevede incentivi fiscali per imprese o privati cittadini interessati ad investire anche nella gestione del nostro patrimonio artistico e culturale, come invece accade nel mondo anglosassone. Agevolare l’afflusso di capitali privati potrebbe aiutare a curare, apprezzare e far conoscere le nostre opere d’arte.
Dario Franceschini continua a ripetere che l’arte è il petrolio dell’Italia, ma la modestia degli interventi del suo ministero, la realtà delle cifre e gli episodi come quello di Verona dicono esattamente il contrario.
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