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24/11/24 ore

Cannes 2015: Sorrentino's Day,  il Comico di Jaco Van Dormael, finalmente e la Louisiana di Minervini



di Vincenzo Basile

 

Si chiama Youth  però racconta l'amicizia e le confidenze di due ottantenni, amici in vacanza di salute presso una SPA di lusso (che è poi l'albergo dove Mann si ritirò per scrivere La Montagna Incantata) presso Davos.

 

Passeggiando, parlano di tutto quello che ha a che fare con la vita: l'amore, la salute, il tempo che passa, gli affetti presenti e passati, il senso da dare alle cose ma anche, perché no,  i condivisi, reciproci, problemi di prostata. 

 

A volte in disaccordo, altre confluenti ma sempre vivacizzando lo scambio quotidiano con un arguto humor anglo-yankie, a salvaguardia della stima e dell'amicizia che li lega. 

 

Michael Caine-Ballinger, è un direttore d'orchestra e compositore in pensione, che fa i conti con una moglie passata a miglior vita, non sufficientemente amata, che ha dato tutta se stessa per la carriera del coniuge. L'altro, Harvey Keitel-Boyle, è un regista che non riesce a inventare un degno finale per la sceneggiatura del suo "film testamento".

 

Intorno a loro gli altri pittoreschi ospiti del lussuoso albergo. Il comprimario Paul Dano-Jimmy Tree, divo hollywoodiano in crisi identitaria ma anche la figlia del musicista e il figlio e la ex fiamma del regista  (Jane Fonda in un volitivo cammeo).

 

C'è perfino un (finto) Maradona in pieno disfacimento fisico che, tra una vasca e l'altra, trova di straforo  il modo di firmare autografi ai tifosi più affezionati che lo attendono fedelissimi a bordo campo, da tennis.

 

A fine proiezione applausi ma anche parecchi buu e fischi di dissenso per un film che, come La (precedente) Grande Bellezza, divide gli animi non riuscendo a convincere l'intera platea.

 

Un cappa di muta, confusa  perplessità sovrasta quelli che rimangono fino allo scorrere dei titoli di coda. E si, perché le immagini patinate (oggi diconsi barocche, fa piu' tecnico), sempre nitidissime e godibili, hanno raggiunto l'intento di sedurre gli astanti, merito questo del fidato e capacissimo maestro di fotografia Luca Bigazzi. E' pero' quello che raccontano i dialoghi che, se convince a volte il cuore e la pancia, lascia scontenti se non frustrati, anima e cervello.

 

"La leggerezza è una tentazione a cui è difficile resistere ed è anche una perversione" . "Le emozioni sono sopravvalutate ma sono anche tutto ciò che abbiamo". E cosi' di seguito, assiomi e aforismi si sprecano lungo il percorso ma attenzione... guai a prendere le cose sul serio! La profondità? Roba vecchia, stantia, sembra affermare l'Autore. Non parliamone neanche, la vita è breve e dunque carpe diem (che novità!). Ancora  " tra orrore e desiderio, è il secondo l'unico che vale la pena raccontare." "E' il desiderio infatti,  l'unica cosa che ci fa sentire vivi". 

 

Persino un monaco, dal look buddista, che meditando arriva a levitare, non fa dunque che realizzare il suo sogno. Tutto il resto è fuffa da intellettuali, gente di cattivo gusto e umori. E' l'Artista (cioè Lui ovviamente) colui che sa ma ... sempre con leggerezza. Ergo, non prendiamolo sul serio. Assolutamente. "E' tutta la vita che cerco di non trasformarmi in intellettuale!".

 

Ebbene, di cotanta iperbolica posizione esistenziale (?), estetica (?), intellettuale (?), Sorrentino sembra aspiri a farne uno Stile. Il suo. 

 

Risultato? Qualcosa che somiglia vagamente a una dark comedy, a volte sfrenata, divertente, caciarona, tutto, niente e  il suo contrario, appassionatamente. Una furba commistione di contenuti arcaici trattati utilizzando immagini abbaglianti e sonorità stordenti per ubriacare a colpi di sensazioni forti. Come il videogame allucinatorio della Maserati lanciata a manetta in una folle gimkana, nell'incubo di Leda Ballinger (Rachel Weisz).

 

Tranquilli però, niente panico! E' la leggerezza. Quella di Sorrentino naturalmente. Non c'è incoerenza ne' contraddizione. E' solo la cifra di Paolo e lui ne e' dichiaratamente fiero.

 

Per finire arriva Jane Fonda. Nei panni di una diva sul viale del tramonto che, sapendo perfettamente ciò che vuole (dollari, what else?) notifica al Keitel-Regista, l'irrevocabile decisione: ha  accettato di recitare in una serie TV in cui sara' una nonna alcolista e… what the fuck! se ciò comporta l'annullamento del suo ruolo nel film-testamento al quale il suo caro amico di sempre, tiene tanto .

 

Ne scaturisce una riflessione sul "fare cinema" che il nostro declina al suo meglio. Perché alla fine "Life goes on even without that cinema bullshit" (La vita continua anche senza questo cinema di merda). Non male per uno fresco di Oscar.

 

Tutto ciò premesso, il film farà quasi sicuramente buoni incassi, avrà ottime recensioni (alcune già sventolano sui giornaloni) e l'Academy Award potrà finalmente elargire a Caine la sua terza statuetta (da non protagonista ne ha già prese due).

 

 

E' spostandoci alla parallela Quinzaine des Relisateurs, che partecipiamo alla prima esplosione di comicità di questo Festival : il lungometraggio del belga Jaco Van Dormael intitolato The Brand New Testament. In poche parole: Dio è un detestabile isterico che vive a Bruxelles. Sua figlia si chiama Ea, ha dieci anni, ed è la sorella di JC ovvero (ovviamente) Jesus Chirst in persona, il quale sopravvive in incognito, mimetizzato in forma di soprammobile che a richiesta prende e si rianima.

 

Lei vuole aiutare gli esseri umani a non farsi annientare dalla cattiveria di Dio Padre, assoldando sei nuovi apostoli da aggiungere ai 12 del fratello e manipola il computer col quale il supremo Genitore gioca sadicamente con i terrestri, in modo da mandare a tutti un sms con la data e l'ora dei rispettivi decessi.

 

Le vite dei destinatari ne saranno immediatamente stravolte con le modalità più’ imprevedibili, come quella di Catherine Deneuve (che pure fu Belle de Jour) che finisce per far coppia con un gorilla rimorchiato in un circo; primo maschio a mostrare del genuino rispetto per il suo personaggio. Riferimenti espliciti a Ferreri, Kusturica e Gilliam sparsi appropriatamente un po' ovunque.

 

Un’opera tra le più sovversive ed acclamate, quest’anno sulla Croisette e un trionfo in sala. Per una decina di minuti, gli spettatori rivolti in compatta e sentita standing ovation a Jaco Van Dormael e al suo cast; da Catherine Deneuve, a Yolande Moreau, da François Damiens alla giovanissima e brava Pili Groyne-Ea.

 

Inspiegabile la scelta dei selezionatori di escludere una così meritevole commedia dalla Selezione Ufficiale.

 

 

Non ci sono soltanto i tre moschettieri (come qualcuno ha ridefinito il trio Moretti-Garrone- Sorrentino) nella selezione ufficiale. Ce n’e’ un quarto, tutto da scoprire pur non essendo una new entry sotto il sole Croisette: Roberto Minervini.

 

L'anno scorso, il quarantacinquenne regista marchigiano, aveva gia' presentato qui’ il terzo episodio della sua trilogia, Stop pounding heart, vincendo poi a Novembre a Torino, il premio speciale della Giuria internazionale come miglior documentario. Quest'anno partecipa nella sezione parallela "Un Certain Regard" .

 

Il suo lungometraggio realizza pienamente i propositi della sceneggiatura, raccontando il limbo sociale di un area del sud degli States, la Louisiana del titolo, mostrandone, si potrebbe dire denunciandone (stà a chi guarda), the other side (sottotitolo).

 

Quella dell'America Ufficiale, che da sempre conosciamo attraverso la propaganda delle Majors Hollywoodiane e della TV locale e nostrana. Paramilitari, per lo più veterani delle ultime guerre in Asia, che si addestrano contro la prossima (da loro prevista) dichiarazione della Legge Marziale negli USA; una lap-dancer in gravidanza avanzata che prima di salire sul palco si inietta una dose, una coppia tossica che cerca di sopravvivere grazie a un'altrettanto tossica relazione, tutta gente che per quanto ormai rassegnata al proprio degrado o del tutto inconsapevole della propria emarginazione conserva quasi suo malgrado, un pur essenziale livello di umanità, coerente comunque ai diversi contesti di appartenenza. Il film non assolve ma nemmeno consola e in ciò consiste il suo spessore di onestà dello sguardo e rigore narrativo.

 

"Senza la fiducia che c'è stata accordata (da chi appare nelle riprese ndr.) non sarebbe stato possibile fare il film. Non lo hanno ancora visto perché non volevamo fare circolare la pellicola prima della presentazione quì a Cannes ma quelli tra loro che non sono pregiudicati, come alcuni dei militari, sono venuti qui al festival per assistere alla proiezione".

 

Prodotto insieme alla moglie Denise Ping Lee, ha come associati l'italiana Okta Film, Rai Cinema e My Movies. Sarà nelle sale italiane dal 28 maggio.

 

Ci ha fatto fare un’ottima figura.

 

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