Les Estivants (I villeggianti) è Fuori Concorso, il quarto film da regista dell’attrice torinese naturalizzata francese. Nella magione di famiglia, d’estate, in Costa Azzurra, Anna (Valeria Bruni Tedeschi), regista in crisi, arriva con due guai da gestire: la sua ultima sceneggiatura, bocciata dai produttori, da riscrivere e il recente abbandono del marito (Riccardo Scamarcio), determinato a trasferirsi a casa dell’amante.
L’intreccio scorre in una successione di Interni ed Esterni di famiglia alto borghese, intenta a proporre tutti i clichè di genere: la portantina per il trasporto fino in spiaggia dell’anziana zia (a braccia della servitù), l’imbarazzante sonata eseguita al piano della madre (ex virtuosa dello strumento), svariati attacchi (dissociativi) di risate di Anna alla notizia del rifiuto del marito e in genere a quelle più nefaste, il fallito suicidio (nelle acque basse antistanti la villona), del fratello esperto nuotatore e via dicendo.
Volendo a ogni costo darle una fisionomia seppur approssimativa, la pièce appare come il tentativo infelice di dimostrare che anche i ricchi, perfino i super snob, pur istericamente, a volte piangono.
Lei, la regista/protagonista/co-sceneggiatrice Valeria B.T. irrompe in conferenza stampa con l’esaltata effervescenza da party al culmine del caos. Dopo averla condotta scavalcando giornalisti e resto del cast, implora la vera zia Borini, nel film e fino quel momento reticente, di dire almeno cosa che ha provato a rivedere il film e a rivedersi sullo schermo: “ho pianto !” risponde lei sicura.
Unico intervento ammesso quello della madre, Marisa Borini “È stato facile recitare quello che di solito viviamo nella casa al mare. La confusione di quella casa dove vengono amici vecchi e nuovi, dove avvengono liti, matrimoni, divorzi. Sul tavolo della nostra casa Carla (Bruni in Sarkozy) e Valeria si sono adorate e hanno litigato parecchio. Se quel tavolo sta ancora in piedi è un miracolo”.
Il finale assume un tono intimistico con la starina che confessa: “Vorrei essere amata un po’ di più dagli uomini”. “Da loro sono già stata amata un pochino, ma un altro po’ non farebbe male”.
Distribuito da LuckyRed, il film uscirà nelle sale italiane sotto Natale 2018.
Letter to a friend in Gaza è ambientato in Terra Santa. Riporta la travagliata, terribile, vicenda israelo-palestinese, attraverso la lettura di alcune poesie ispirata da Camus ma anche e meglio con le agghiaccianti immagini degli scontri più recenti, nell’area di Gaza.
Letter to a friend in Gazaè ambientato in Terra Santa. Riporta la travagliata, terribile, vicenda israelo-palestinese, attraverso la lettura di alcune poesie ispirata da Camus ma anche e meglio con le agghiaccianti immagini degli scontri più recenti, nell’area di Gaza.
In tanti hanno visto sul web quel breve filmato, qui riproposto, nel quale soldati Israeliani, al riparo della loro postazione, sparano su un dimostrante palestinese inerme, a qualche decina di metri da loro, che sta semplicemente osservando l’andamento di una dimostrazione. In seguito alla fucilata l’uomo si accascia al suolo e viene immediatamente soccorso dai compagni. Tutto ciò avviene tra le risate di un militare che commenta l’impresa.
Il senso di Letter to a friend in Gaza è tutto nelle sue immagini. Il regista, Amos Gitai, non speculae non commenta fatti ma coraggiosamente mostra uomini e luoghi reali. Sono le foto a parlare per lui, per chi assiste alla proiezione, al mondo.
I titoli di coda scorrono lenti su una antica stampa nella quale un piccolo David è al cospetto di un immenso Golia. Il gigante appare invincibile nella sua armatura, sovrasta il ragazzo, lo schernisce spietato, certo di annientarlo con un semplice gesto. David è munito solo della sua fionda proprio identica a quella in mano ai dimostranti di Gaza. Lui non ride affatto.
Altro film prenatalizio, per uscita ma non per categoria, è il Capri Revolution di Mario Martone. Dimensioni esistenziali contrapposte si schierano e fronteggiano nello scenario a quei tempi ancora incontaminato, dell’Isola campana. La Grande Guerra sta per scoppiare.
“Mi sono imbattuto nella storia della Comune di Karl Diefenbach vedendo i suoi quadri alla Certosa di Capri. Non sapevo che all’inizio del ‘900 queste comuni prefiguravano le esperienze degli anni ‘60 e ‘70 ed è stato per me immediato il cortocircuito con gli avvenimenti successivi. Negli anni ’80 Joseph Beuys aveva creato un’installazione sull’isola, “Capri Batterie”: voleva provare ad immaginare attraverso l’arte un diverso modo di relazionarsi con le persone, era un atto politico”, spiega ancora Martone.
Lucia, pastorella analfabeta, scopre e poi incontra sull’isola e ne viene a far parte, una comune internazionale di giovani dediti al naturismo e inizia al suo interno un percorso di emancipazione che la condurrà alla totale autonomia dall’atavica tradizione familiare.
“Viviamo un tempo in cui sembra che bisogna chiudere tutto, dove l’odio è l’elemento che fa da collante. Lucia è la figura luminosa del film, una giovane capraia, figlia di una famiglia fortemente patriarcale. Non ha paura della scoperta ma al tempo stesso non le bastano le impostazioni ideologiche patriarcali ricevute in famiglia. Non è solo un processo di maturazione, il suo, ma di indipendenza”, dice Martone, che aggiunge: “Le rivoluzioni non vanno considerate rispetto al loro esito. Sono come le eruzioni di un vulcano. È un fiore che nasce in quelle persone che cercano di cambiare le cose, di ribellarsi. Lucia però non trasforma questa ribellione in odio, alla fine la vediamo di spalle, con lo sguardo rivolto in avanti, anche se nessuno di noi sa quello che troverà ad attenderla”.
“Lucia porta con sé l’elemento umano, la capacità di relazionarsi; credo sia importante in un contesto come quello di oggi, dove ogni idea cerca di essere imposta con arroganza e senza alcun confronto costruttivo”.
Dal 13 Dicembre nelle sale.
Ultimi sbarchi, tra gli altri: Zhang Ymou, Donatella Finicchiaro, Giulio Base e Mario Martone.
- Venezia 75.ma Mostra del Cinema: Premi, sorprese e … (di V.B.)