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23/11/24 ore

'Spose Celesti dei Mari della Pianura', per dormire al Festivale del Film di Roma


  • Florence Ursino

Nella piramide dorata del Festival del Cinema di Roma riposerà probabilmente per sempre la faraonica impresa filmica di Aleksei Fedorchenko, in concorso con le sue 'Spose Celesti di Mari della Pianura'. L'opera del regista di 'Silent Souls' potrebbe infatti benissimo essere annoverata tra quei monumenti di celluloide che esalano il loro primo e ultimo respiro proprio tra le braccia dei selezionatori o dei giurati di un Festival cinematografico. 

 

Indubbia la maestria dell'autore russo nell'aver tratteggiato i ritratti di 23 donne del popolo Mari con i magici pigmenti delle credenze popolari, della magia, della religione, offrendo in colori pastello l'oscura, ambivalente e ambigua visione della figura femminile in alcune remote regioni dell'ex Unione Sovietica.

 

Ma nei 106 minuti di narrazione, troppe volte un pericoloso e soporifero realismo sembra oltrepassare il già sbiadito confine con una poetica cinematografica surreale e fiabescamente incomprensibile, dilatando il tempo e sottraendo la percezione mistica necessaria per gustare appieno quei quadri quasi immobili e altamente evocativi di cui si compone il film.

 

Tra morti viventi, giovani amanti del vento, riti sessuali, maledizioni, boschi sacri e betulle vendicatice, Fedorchenko celebra la donna per ogni centimetro della sua pelle, nel suo essere figlia della terra e allo stesso tempo divino grembo per la vita, amante, moglie, essere inquieto e lunare. Ma lo fa muovendosi come in un sogno, senza una reale continuità, passando senza sosta da un tono quasi etnografico ad uno estremamente visionario, per quasi due ore.

 

Una delicata e interminabile fase REM: questo è 'Spose Celesti dei Mari della Pianura', tremolio incessante, inconscio catturato ma occhio chiuso.

 

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