Il Botswana è grande quasi due volte l'Italia e ha solo due milioni d'abitanti, il nuovo presidente Mokgweesti Masisi teme la crescita del numero degli elefanti e riapre, dopo quattro anni, la caccia contro gli stessi interessi del turismo, li preferisce morti (v. "La Stampa" del 23 febbraio 2019). Infine gli ultimi due versi de Gli elefanti leggeri: ricordo una mattina tra il 1976 e il 77, un giorno di sole invernale, assistevo ad alcune riprese di Grand Hotel des Palmes nella campagna romana. Un film che Perlini (scriverò nel 1982 Il teatro di Memè Perlini) girò sulla morte di Raymond Roussel. Quel giorno assistevo alle riprese, prima andammo sui luoghi della morte straziata di Pasolini, poi lungo strade di campagna leggermente in salita, il copione prevedeva che un uccellino svolasse davanti al parabrezza di una vecchia berlina d'epoca. Era stato comprato un piccolo passero che si rifiutava di volare, spaventato dai rumori di quel set in movimento. Fu ripetuto più volte il tentativo. Poi, tra stupore e dolore, un operaio della troupe credette di risolvere il problema con la più assurda delle iniziative, aveva tra le mani il piccolo essere, fu un attimo, l'uccise e lo lanciò verso l'auto che saliva lentamente, simulando un impossibile volo. Il piccolo Icaro cadde miseramente.
POESÌ di Rino Mele
Gli elefanti leggeri
Voleranno leggeri nella savana del Botswana
gli elefanti eludendo i bracconieri, fermi, come fossero morti,
che aspettano
il vento
porti lontano il loro odore guasto, e trasformano lo sguardo nel pugnale
che già entra
nella gola dell'animale. Diventeranno
gli elefanti
sempre più pochi,
mentre ad essi aprono la grande testa, tagliano la proboscide con coltelli
sporchi
di altro sangue
ed estraggono dalle radici le zanne.
Gli uomini li fanno a pezzi non capiscono che sono il padre
e la madre
che li hanno generati, antenati
nella maschera, della notte
che ora scuoiano. Non c'è altro modo
per risolvere i conflitti della logica e sciogliere i problemi e le pene
se non uccidere,
aprire la gola di chi ti sbarra il cammino,fare di quel corpo una fontana
che tinge le mani.
Come tutti gli animali, gli elefanti non conoscono la morte, urtano
all’improvviso contro la vita,
diventano domestici, di casa nei cimiteri che l'uomo disegna nel suo
vuoto cuore.
Resterà (nelle acque più profonde degli oceani l'ombra delle balene)
nell'abisso
dei cieli - in un libro
per bambini con le illustrazioni a tutta pagina - il ricordo
del volo
degli elefanti.
Di noi uomini, con le mani sporche di sangue, presi
dalla fatica di uccidere, inchiodare
mani, bruciare vittime, cancellare
sorrisi spaventati,
non resterà niente, solo sul parabrezza
il rigo rosso di un uccellino
ucciso
per gettarlo, nella finzione reale di un film, contro il vetro di un’auto.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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