Heidegger in Perché i poeti? (Sentieri interrotti, 1950) scrive che la loro parola "è un dire che è altro dal dire abituale degli uomini". Il testo di Heidegger (nella traduzione di Pietro Chiodi) termina: "Qual è il compito del poeta nel destino della notte del mondo? Questo destino deciderà di ciò che in questa poesia è storico, nel senso di conforme al destino". La poesia, i misurati corridoi, il labirinto di quella bellezza.
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POESÌ di Rino Mele
La parola che risale il futuro
Ma serve a qualcosa la parola estrema che spezza
il suono come un pane,
il dono che l'affamato fa a chi glielo sottrae? La parola
della poesia
smette l'inganno, la sfida simulata, il gioco
a scivolare mentre si sale: non continua l'urlo
del predatore
che ripete la voce della vittima
per farsi perdonare mentre l’assale.
È parola, improvvisamente, vuota di quell’atroce violenza
da cui il linguaggio ebbe inizio
per segnare nel sangue i confini dello spazio,
il quadrato d'aria
(quegli urli mostrarono
nel suono rauco il possesso di ciò che la mano nei miseri
artigli nascondeva): l’incerto
strido già apparteneva alla legge, che taglia
e distingue
le parti cui la nostra vita è legata dentro l'erta
sintassi
del teatrale - tra voce e piaghe - tentare
di salvarci nei vicoli stretti di buio,
costretti
al respiro.
La poesia è rifiutare
di ridurre la vita al "già stato", ma
nella tenebra dell'istante
risalire la corrente del linguaggio oltre le madri
che l'hanno generato,
l’orrore da cui non ci siamo liberati,
nascondendoci. Operai della poesia sono i poeti, pochi,
silenziosi
su alte scale, attenti a costruire una struttura che non si vede:
attraversano la morte
tra le pareti ostili del sonno:
nel linguaggio malato cercano la difficile salvezza, legano
le parole
al silenzio, la pausa
che fa da confine a piccoli ponti di sillabe sospese in sotterranei
abissi, dove parlano coi morti, sulle rive dei fiumi.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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