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25/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Il puro albero di un orto cui s'impiccò Giuda



Quello che il clima, sempre più con stupida protervia orrendamente contaminato e ferito, riserva alla nostra specie è terribile. Possiamo appena tentare di comprenderne l'eco nell'ecatombe di alberi distrutti dalle recenti violenze devastatrici dei venti.

  

 

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POESÌ

di Rino Mele



Il puro albero di un orto cui s'impiccò Giuda

 

 

Dalla tana delle radici, gli alberi sanno che altri alberi

sono intorno, li riconoscono

dalla comunione agli stessi umori freschi del tenero abisso

dentro cui cresce il tempo.

L'albero non insegue, non fugge inseguito, non uccide, ha le mani

sempre aperte

in cui gli uccelli fanno il nido, fermano la notte

e con essa si confondono.

Porsi di fronte a un albero, dimenticare il proprio nome,

uscir fuori dai limiti della storia, ritrovarsi

nudi, senza il tormento delle parole,

sentire che quell'albero ha scelto

la strada a noi opposta, di uno sconfinato ascolto.

Provare, poi, lo sgomento di tornare a parlare.

Lunedì 29 ottobre, il vento

ha interpretato la sua parte in questa nostra arrestabile

fine, il ludibrio del clima

che non vogliamo contrastare per non perdere

qualcosa del nostro avido penare.

Sull’altopiano largo di Asiago,

trecentomila abeti il vento, precipitando

in se stesso,

ha sradicato, spezzato, bruttati nella neve. A un albero

sappiamo di non poterci

nascondere nelle parole, lui è il padre: non il nome

che riserviamo all'anagrafe,

agli specchi rotti di un fragile patrimonio. I piedi interrati,

quell'albero ci sta di fronte e una fitta tela

di silenzio si tesse da sola, fino a coprirci, seppellirci 

piano, in una progressiva cancellazione.

Tocchiamo la sua corteccia ed è come fosse lui a toccare 

la nostra pelle, perché anche questo 

passare le dita sul suo tronco è un gentile predare,

non saper godere dello stare lontani senza rifugiarci spauriti

nella ripetizione dell’allucinata esperienza di un'infinita 

prossimità.

Un solo albero è già impenetrabile

universo. Davanti a lui, resto allibito di me stesso, uscito

dalla terra anch’io, i piedi

senza radici, la paura che spinge a fare il male.

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 


 

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