Quello che il clima, sempre più con stupida protervia orrendamente contaminato e ferito, riserva alla nostra specie è terribile. Possiamo appena tentare di comprenderne l'eco nell'ecatombe di alberi distrutti dalle recenti violenze devastatrici dei venti.
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POESÌ
di Rino Mele
Il puro albero di un orto cui s'impiccò Giuda
Dalla tana delle radici, gli alberi sanno che altri alberi
sono intorno, li riconoscono
dalla comunione agli stessi umori freschi del tenero abisso
dentro cui cresce il tempo.
L'albero non insegue, non fugge inseguito, non uccide, ha le mani
sempre aperte
in cui gli uccelli fanno il nido, fermano la notte
e con essa si confondono.
Porsi di fronte a un albero, dimenticare il proprio nome,
uscir fuori dai limiti della storia, ritrovarsi
nudi, senza il tormento delle parole,
sentire che quell'albero ha scelto
la strada a noi opposta, di uno sconfinato ascolto.
Provare, poi, lo sgomento di tornare a parlare.
Lunedì 29 ottobre, il vento
ha interpretato la sua parte in questa nostra arrestabile
fine, il ludibrio del clima
che non vogliamo contrastare per non perdere
qualcosa del nostro avido penare.
Sull’altopiano largo di Asiago,
trecentomila abeti il vento, precipitando
in se stesso,
ha sradicato, spezzato, bruttati nella neve. A un albero
sappiamo di non poterci
nascondere nelle parole, lui è il padre: non il nome
che riserviamo all'anagrafe,
agli specchi rotti di un fragile patrimonio. I piedi interrati,
quell'albero ci sta di fronte e una fitta tela
di silenzio si tesse da sola, fino a coprirci, seppellirci
piano, in una progressiva cancellazione.
Tocchiamo la sua corteccia ed è come fosse lui a toccare
la nostra pelle, perché anche questo
passare le dita sul suo tronco è un gentile predare,
non saper godere dello stare lontani senza rifugiarci spauriti
nella ripetizione dell’allucinata esperienza di un'infinita
prossimità.
Un solo albero è già impenetrabile
universo. Davanti a lui, resto allibito di me stesso, uscito
dalla terra anch’io, i piedi
senza radici, la paura che spinge a fare il male.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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